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È stata una festa oranje quella di Zandvoort, con Max Verstappen vincitore della sua gara di casa, il Gran Premio d'Olanda. Un successo pesante in ottica mondiale, frutto di un'autorevolezza che desta preoccupazione per gli avversari. Qui, però, non discuteremo l'intreccio del campionato, concentrandoci invece sui top e i flop dell'Olanda. Quindi, bando agli indugi.
Quando un pilota della caratura di Max Verstappen sostiene di sfruttare la propria monoposto come se fosse sui binari, vuol dire che il suo stile di guida si sposa alla perfezione con la forza di un pacchetto che tanto semplice da gestre non è, se si vedono le performance di Sergio Perez, che pare l'ombra del pilota fieramente sul gradino più alto del podio a Monaco. La Red Bull di oggi ricorda parecchio la scuderia delle meraviglie che fu all'inizio dello scorso decennio. E oggi come allora, il numero uno del team è un pilota giovane e affamatissimo. Zandvoort ha offerto una gara tutt'altro che lineare, eppure Verstappen si è issato davanti a tutti. Inarrestabile e inarrivabile. Possiamo parlare solo di sensazioni, perché è presto per dirlo. Ma viene davvero da pensare che ci troviamo di fronte all''inizio di un nuovo ciclo vincente.
George Russell, prima che un pilota estremamente veloce, è un ragazzo intelligente, molto elegante, ma assai fermo nelle sue valutazioni. A 24 anni, ha la forza d'animo di imporre la propria volontà a livello di strategia, come ha fatto in Olanda. Non si è lasciato andare a timori reverenziali quando ha indotto la Mercedes a fermarlo per calzare le soft, ponendo di fatto le basi per il suo splendido secondo posto. La scuderia di Brackley, memore di quanto accaduto ad Abu Dhabi, avrebbe dovuto evitare di mettere Hamilton in una condizione di svantaggio rispetto a un Verstappen con le soft. Gli ottimi piloti si vedono anche dalla capacità di leggere la gara e di imporre la propria volontà alla scuderia. E Russell, a Zandvoort, ha dimostrato di aver assimilato l'esempio di Hamilton, mai timido nel fare suggerimenti alla sua scuderia.
Come abbiamo spiegato altrove, oggi non ci sarebbe stato verso di fare la differenza in pista in ogni caso. Ma l'errore di valutazione del muretto Ferrari nel richiamare in fretta e furia Carlos Sainz ha avuto conseguenze pesanti sulla gara dello spagnolo. La Rossa ha deciso all'ultimo di far rientrare Sainz per coprirsi le spalle da Hamilton, gettando nel panico i meccanici, e creando un pasticciaccio brutto dal sapore quasi fantozziano. Una volta arrivato Carlos nella piazzola, ci si è resi conto che mancava lo pneumatico posteriore sinistro. E ormai la frittata - una sosta da 12,7 secondi - era fatta. La Ferrari ha sostanzialmente stupito se stessa con la propria chiamata. Così non va.
Yuki Tsunoda ha furbescamente sostenuto ai microfoni di Mara Sangiorgio che le sue cinture non fossero state slacciate nel giro che lo ha ricondotto dalla via di fuga in cui si era arenato per un sospetto - da lui, e non dal team - problema a una gomma fino ai box. Ma le lunghissime operazioni dei meccanici per sistemare la questione rendono l'evidenza difficile da negare. Tsunoda si era slacciato le cinture, nella convinzione che la sua gara fosse finita in quel momento. E percorrere anche pochi chilometri in queste condizioni è inaccettabile.
Non avrebbero nemmeno dovuto essere presenti, visti i presunti divieti. E invece a Zandvoort i fumogeni si sono visti eccome, con uno addirittura finito in pista, circostanza pericolosissima. Il colpevole di questo gesto è stato prontamente individuato e arrestato, ma in F1 farebbero bene a perfezionare un giro di vite sull'uso dei fumogeni, visto che in alcuni casi arrivano persino a peggiorare la visuale dei piloti. Il tifo è spettacolare anche sei si usano mezzi meno pericolosi, ma altrettanto scenografici.