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“Ho chiesto al mio team in FIA di iniziare un processo di manifestazione di interesse per potenziali nuove scuderie per il campionato di F1”: così, nella serata di ieri, il presidente della Federazione, Mohammed Ben Sulayem, con un Tweet ha ufficialmente aperto la porta all’ingresso di nuovi team sullo schieramento di Formula 1. Una notizia, questa, che farà sicuramente drizzare le orecchie alla famiglia Andretti, che aveva già cercato invano di proporsi qualche tempo fa. Ma è inevitabile pensare anche a qualche costruttore potenzialmente interessato, vedi Ford e Porsche. Non è detto, però, che tutte le ciambelle escano col buco, come ci dimostrano alcuni casi del passato recente.
Emblematica è la storia della mitologica Stefan Grand Prix, frutto del sogno dell’ingegner Zoran Stefanović di portare in F1 una scuderia serba. Dopo un primo timido tentativo perfezionato nel 1998 acquistando ciò che rimaneva di una meteora storica come la MasterCard Lola, Stefanović ci riprovò nel 2009, quando la FIA aprì un bando per approdare sulla griglia l’anno successivo. Con il supporto dell’azienda serba AMCO, la Stefan GP fece richiesta di iscrizione, con l’intenzione di costruire in proprio la monoposto, senza aiuti da terzi. Il nome del nostro salì alla ribalta della cronaca quando si rivolse alla Commissione Europea, sostenendo che il suo progetto fosse stato escluso perché, a differenza dei team accettati, non avrebbe impiegato i motori Cosworth destinati a debuttare nel 2010.
Dopo il ritiro della Toyota a fine 2009, Stefanović acquistò i diritti di utilizzo del telaio, del cambio e del motore per il 2010 dal colosso nipponico, oltre ad assumere diversi dipendenti rimasti a piedi. Il posto lasciato vacante da Toyota, però, fu assegnato alla Sauber, dopo che il fondatore Peter Sauber aveva riacquistato il team da BMW, uscente come Toyota. L’ultimo spiraglio, chiuso brutalmente dalla FIA visti i tempi stretti, si aprì con il naufragio della scuderia scelta insieme all’Hispania Racing, alla Virgin Racing e alla Lotus, la USF1, a due settimane dall’inizio del mondiale 2010.
Proprio la USF1, sulla carta, sembrava un’operazione credibile. Nata dalla collaborazione tra l’ex ingegnere della Nascar, Ken Anderson, e del giornalista – e uomo Williams per anni – Peter Windsor, la scuderia si avvaleva di una fabbrica in North Carolina, e documentava i propri progressi con dei video su YouTube, approccio sicuramente innovativo alla fine degli anni Duemila. Anderson e Windsor volevano due piloti americani, ma dovettero ripiegare sull'argentino José Maria Lopez e sul britannico James Rossiter, che avrebbero dovuto affrontare i collaudi della monoposto.
Usiamo il condizionale, perché in realtà la vettura non c’era. A inizio 2010, alcuni dipendenti rilasciarono interviste in forma anonima che cominciarono a destare dubbi sulla bontà del progetto, mai decollato per via della pessima gestione di Anderson. Viste le voci insistenti, la FIA decise di inviare alla fabbrica della USF1 Charlie Whiting, che fu lapidario, specificando che il team non era nelle condizioni di partecipare al mondiale. Assente dai test di Barcellona, la scuderia subì l’esodo degli sponsor, per poi collassare definitivamente.
A dirla tutta, comunque, anche le scuderie entrate effettivamente in F1 nel 2010 non ebbero grande successo. La Hispania Racing, prima conosciuta come Campos Racing e poi diventata HRT, disputò tre stagioni senza cogliere punti prima di gettare la spugna, togliendosi solo la piccola soddisfazione di portare al debutto Daniel Ricciardo. La Lotus, diventata Caterham nel 2012, si arrese a fine 2014, dopo essere finita in amministrazione controllata e aver saltato i GP degli USA e del Brasile.
Ben più oscura è la parabola della Virgin Racing, poi chiamata Marussia e infine Manor. Un percorso accidentato, con le morti dolorosissime di Maria De Villota, scomparsa nel 2013 a un anno di distanza da un terribile schianto con un camion durante una prova sul dritto a Duxford in cui aveva perso un occhio, e di Jules Bianchi, arresosi alle conseguenze del drammatico incidente di Suzuka 2014 nove mesi dopo. All’inizio del 2017, la fine dell’avventura. L’unica storia di successo degli ultimi anni è quella della Haas, approdata nel Circus nel 2016 con buoni risultati grazie all’apporto fondamentale della collaborazione con Dallara. Solo il tempo ci dirà se le potenziali new entry riusciranno ad avere la longevità della scuderia americana.