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Ci siamo appena lasciati alle spalle una delle stagioni più avvincenti della storia della Formula 1. E, a bocce ferme, è arrivato il momento di trarre un bilancio del pazzo, pazzo 2021 del Circus. A cominciare dai cinque piloti che, a nostro avviso, hanno brillato di più quest'anno. Ecco la nostra top 5 per il 2021.
L'età è solo un numero? Per le rughe, forse no. Ma a vedere Fernando Alonso in pista, oseremmo dire che per lo spagnolo questa sia tutt'altro che una frase fatta. Per Fernando, i 40 sono i nuovi 20. A vederlo sgusciare come un gatto tra gli avversari in gara, verrebbe da pensare che sia un ragazzino che ha ancora tutto da dimostrare. Ed è questo il segreto della sua eterna giovinezza. Dopo due anni sabbatici, Fernando è tornato nella mischia dopo poche ore di test con la sua A521 e reduce dalla rottura della mascella durante l'inverno.
Ma nell'arco di qualche gara, ha trovato il bandolo della matassa, offrendo una serie di masterclass sulla difesa in pista, a cominciare dall'Ungheria, occasione in cui si è fatto uomo squadra, concedendosi il piacere sottile di tenersi alle spalle il rivale di un tempo, Lewis Hamilton, e aiutando così Ocon a vincere il suo primo GP. E il suo terzo posto in Qatar, a 18 anni dal primo podio e a sette dall'ultimo, non è sembrato l'ultimo ruggito di un vecchio leone stanco, ma una promessa di successi futuri. Si dirà che un quarantenne non può reggere una lotta mondiale. Uno qualsiasi no. Ma Alonso è tutt'altro che un tipo qualunque. L'Alpine è avvisata.
La pioggia ha strappato crudelmente a Lando Norris la prima vittoria in carriera a Sochi. Ma quel giorno si è capita chiaramente una cosa: è solo questione di tempo prima che l'inglese della McLaren diventi uno dei protagonisti della Formula 1. L'arrivo di Daniel Ricciardo, sulla carta, rappresentava una minaccia nei confronti di Lando. Norris, invece, è stato il primo pilota della scuderia di Woking per meriti. E se fino ad un certo punto della stagione la scusante dell'adattamento al team di Ricciardo era più che valida, non lo era più nella seconda parte del campionato. Certo, Daniel ha vinto una gara, a differenza di Norris.
Ma il successo a Monza - l'unica doppietta stagionale da parte di un team, peraltro - non si è rivelata la rondine che fa primavera. La flessione della McLaren successiva a quell'acuto è stata invece l'inizio di un autunno sbiadito anche per Norris. Ma nel caso di Lando, la sfortuna ha indubbiamente giocato a suo sfavore. Sul giro secco, Lando è capace di prestazioni brucianti, che ne fanno uno dei piloti più pericolosi al sabato. Ma ha anche imparato ad essere costante in gara, liberandosi di quei demoni nella testa che gli ripetevano che non era abbastanza bravo per lasciare il segno in F1. Lo è eccome, e non ci sarà sempre la pioggia a impedirgli di dimostrarlo.
Carlos Sainz è un tipo discreto. Rampollo di una delle famiglie reali del motorsport, si è presentato in Ferrari senza troppa baldanza, ma con una caratteristica che gli è valsa il posto e che lo rende ideale per la Rossa: la costanza. Mantenendo un basso profilo, è stato protagonista di un percorso di crescita che gli ha consentito di avere la meglio, a sorpresa, su Charles Leclerc nella classifica piloti. Un risultato che acquisisce maggior importanza se si pensa che Sainz ha avuto solo un giorno e mezzo di test con la SF21 prima del debutto in gara.
La Ferrari ha cercato di farlo acclimatare provando la SF71H a Fiorano, ma un conto è una macchina vecchia, un altro la monoposto attuale. Altri - Daniel Ricciardo su tutti - in situazioni analoghe hanno faticato. Lui si è adattato velocemente. E si è dimostrato una formichina, capace di racimolare punti utili per la Rossa in ottica costruttori e importanti anche per consolidare la sua posizione nel team. È arrivato in un ruolo che pareva da segnaposto, in attesa dell'approdo di qualcuno con un cognome altrettanto importante, e invece Sainz ha dimostrato di essere giunto alla Rossa per restare. E in Ferrari farebbero bene a tenerselo stretto. Perché i mondiali non si vincono con le sole splendide cicale.
Lewis Hamilton si è trincerato in un nebuloso silenzio dopo la bruciante sconfitta di Abu Dhabi. Ma, a nostro avviso, dovrebbe essere orgoglioso del modo in cui ha perso questo mondiale. Hamilton conclude al secondo posto un campionato in cui ha indubbiamente commesso degli errori che non ci saremmo aspettati da un sette volte campione del mondo, Imola e Baku su tutti. Ma è stato capace di rifarsi di una prima parte di stagione pasticciata con il suo finale al fulmicotone. Proprio nel momento in cui non aveva più nulla da perdere, Hamilton ha trovato dentro di sé la forza di non arrendersi a un risultato che sembrava scontato dopo il Messico.
Merito della crescita della Mercedes, si dirà. Indubbio. Ma la scuderia di Brackley si è appoggiata completamente al talento del suo pilota, cadendo sovente nelle trappole strategiche della Red Bull. Se Lewis avesse vinto il titolo, l'avrebbe colto nonostante la Mercedes e non grazie al team. Perché un conto è portare in pista una vettura competitiva, tanto da vincere il mondiale costruttori grazie a un Valtteri Bottas certamente non esaltante, ma più costante di Sergio Perez. Un altro è rispondere in maniera efficace all'audacia della scuderia avversaria con il suo pilota di punta. Hamilton può consolarsi nella consapevolezza di avere tirato fuori il meglio di sé nella parte clou della stagione, rendendosi protagonista della migliore conclusione di campionato della sua carriera, nonostante la sconfitta. E nel giorno più buio, ha accettato con eleganza un verdetto difficile da digerire, sciogliendosi in un abbraccio con il suo acerrimo rivale. Una reazione da vero signore. E da campione. Perché anche in F1, come nella vita, a volte bisogna saper perdere.
È un peccato che Max Verstappen abbia vinto il titolo all'ultimo giro, in modo rocambolesco. Avrà anche alzato le pulsazioni di chi assisteva al suo trionfo, ma questo epilogo rischia di essere fuorviante. Perché le giuste polemiche non possono e non devono negare un dato di fatto. Max Verstappen ha meritato ampiamente la vittoria del mondiale 2021 di Formula 1. L'olandese, una volta avuta per le mani una vettura in grado di lottare per il titolo, ha espresso tutto il potenziale che si intuiva sin da quando, da minorenne, fece il suo debutto in F1. Che fosse speciale, si era capito da subito. Ma quest'anno è stato un tritacarne. Max non solo è stato velocissimo, ma non ha praticamente sbagliato nulla.
Il suo unico limite è la sua tendenza a difendersi e ad attaccare come se fosse solo in pista, convinto com'è di poter sfruttare ogni mezzo per aver ragione dell'avversario. Si è rivelata un'arma a doppio taglio: il suo essere grezzo, spietato contro l'avversario lo ha sì aiutato nel conquistare il suo primo mondiale, ma ha costituito un limite in varie occasioni, su tutte la gara in Arabia Saudita. Potrebbe lavorarci su, ma la sensazione è che non vogla farlo. Max è un feroce animale da pista. Un prodigio forse non nato, ma sicuramente cresciuto per diventare il campione che oggi è. Forse smussare leggermente gli angoli del suo straripante talento potrebbe garantirgli quella longevità che i suoi soli 24 anni gli consentirebbero. Ma Verstappen, cecchino spietato, è già un piacere per gli occhi così com'è.