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Ci sono assenze che si fanno notare più delle presenze e non c’è dubbio che a Monza il grande assente alla festa Ferrari sia stato il presidente John Elkann. Non solo non si è visto ai box ma nemmeno alla festa dei 50 anni di collaborazione fra Philip Morris e la Scuderia. Un evento tenutosi al Palazzo del Ghiaccio di Milano con 500 ospiti e un concerto di Mika a conclusione della serata. Vi erano invece il team principal, Fred Vasseur, e il CEO Benedetto Vigna, con Alesi, Berger, Morbidelli, Fisichella e Badoer in rappresentanza dei piloti Ferrari. Domenica in pista solo Lapo Elkann con un pass ospitalità della FOM ma con una presenza fugace e quasi inosservata. Una assenza importante anche nella comunicazione, visto che nel bene e nel male, il silenzio impera dai vertici di Maranello. Come interpretare questa mancanza, che per inciso ha riguardato un altro grande nome della famiglia, Piero Ferrari, anche lui non visto nei box. Abbiamo condotto una inchiesta partendo dai momenti di crisi della storia della Ferrari, con tre personaggi che hanno vissuto i momenti forse più negativi e che oggi possono fare un confronto con quanto avvenuto. Negli ultimi anni abbiamo avuto tre presidenti: Montezemolo, Marchionne e Elkann. Cinque team principal: Domenicali, Mattiacci, Arrivabene, Binotto e adesso Vasseur. Il confronto con Horner, Red Bull, a capo del team dal 2005 o Toto Wolff, dal 2011, fa capire molto sulla parola stabilità. Alla fine della chiacchierata, emerge quello che potrebbe essere il titolo finale: AAA Ferrari cercasi presidente a tempo pieno.
“È sempre lo stesso problema della Ferrari, negli anni 70 con Enzo Ferrari, che io chiamo il Vecchio, e negli anni a seguire quando non c’era più. Fazioni politiche da un lato e dall’altro, telaisti contro motoristi quando si facevano le cose in Inghilterra. A quel tempo, i miei tempi tengo a sottolineare, il problema derivava dai tecnici di Fiat mandati a Maranello, perché c’era il gruppo Caliri, Colombo e compagnia che arrivavano dalla Fiat e di corse non ne sapevano niente, mentre Forghieri era stato messo in castigo da Ferrari e spostato al reparto clienti. Mi imposi facendo in modo da farlo tornare al reparto corse e passare al telaista inglese per cambiare la macchina, la B3 che non andava nemmeno a spingerla ma sponsorizzata da chi ben sappiamo. La salvezza? Discussi molto col vecchio ma poi riuscii a convincerlo a far fare le modifiche a Forghieri e consigliai l’arrivo di Montezemolo come direttore sportivo, almeno era uno giovane che stava in pista e non era di quelli che gliela raccontavano al vecchio come volevano loro. E infatti nel 75 la Ferrari vinse il mondiale anche se io lasciai la squadra nel 74 a Lauda e Regazzoni. Poi arrivò Romiti e cacciò via Montezemolo, salvo farlo poi tornare a fine 91, ma non come direttore sportivo bensì come presidente. E con Luca c’era un appassionato, uno che cercava di tenere sotto controllo la politica interna del team e degli uomini, che ancora oggi si comportano allo stesso modo. Ovvero ognuno fa il suo, pensa a pararsi la schiena e a stare attento a cosa succede nell’altro reparto. Non si prendono responsabilità perché esporsi vuol dire sbagliare e nessuno vuole farlo, per cui aspettano ordini ed eseguono, tanto è colpa dell’altro. È un errore tipico della Ferrari e della sua mentalità. Soluzioni? Un pilota che sia un leader, un Verstappen o un Hamilton, non certo un Leclerc, bravo ma non ha la caratura del leader, quello che sa farsi carico della squadra come faceva Schumacher e anche lui, con tutto lo staff attorno ci mise del tempo. Un pilota leader, ma non da solo, perché da solo verrebbe emarginato, ci vuole il gruppo, come accadde con Schumacher, Brawn, Byrne e Todt. Senza gruppo, non fai niente. E se proprio volete un consiglio: fate tornare Montezemolo. Anche se ha la sua età, in tre o quattro anni ripulisce l’ambiente, si capisce chi comanda, al contrario di oggi, e rimette in sesto la baracca che oggi delude sotto tutti i punti di vista visto che al vertice non si capisce chi comanda”.
Dice Ivan Capelli, ex pilota Ferrari nel 1992, anno di crisi dopo le speranze di un paio d’anni prima, quando Prost sfiorò il mondiale: “Se facciamo un confronto con i miei tempi, adesso non manca niente. Montezemolo era arrivato da poco come presidente e si trovò una squadra in crisi in cui, pur con nomi di rilievo al timone della tecnica come Migeot o Postlethwaite, in realtà la macchina era un fallimento. Con Alesi, mio compagno di squadra, faticavamo a capire dove mettere le mani. Oggi non hanno i problemi che avevamo a quell’epoca, perché hanno tutto a livello di strutture, gallerie del vento, simulatori. Dal punto di vista tecnico la Ferrari di oggi non ha nulla che spartire con quella di ieri. A quel tempo era tutto da costruire e infatti Montezemolo lo fece, ma serviva del tempo. Oggi, invece, cambia, e molto, dal punto di vista manageriale. Noi avevamo Montezemolo come presidente, c’era una figura al vertice, oggi non si capisce il ruolo di Vasseur, se ha le mani libere o se deve rispondere a Benedetto Vigna, il CEO o se il presidente Elkann interviene. E’ questa mancanza di chiarezza al vertice che per me si trasmette poi ai livelli inferiori. Sappiamo di tecnici che vanno via, si parla di gente che arriverà, ma non si sa quando e chi e questo, a livello psicologico, è un danno per chi resta perché non sa se avrà un capo sopra e se il suo lavoro verrà valorizzato o meno. Ecco, bisognerebbe fare chiarezza dal vertice e capire chi comanda e che può fare. Se guardo a Vasseur, vedo che in sei mesi ha l’aspetto invecchiato di dieci anni, a Monza sul muretto si vedeva chiaramente la tensione di dover rappresentare la Ferrari”.
Uno che può dare un parere in merito è Antonio Ghini, ex responsabile comunicazione Ferrari che con Montezemolo ha lavorato dal 93 al 2016: “Diciamo che Luca aveva una personalità e una passione che veniva trasmessa anche all’esterno. Direi che alla Ferrari di oggi manca quella passione o, se c’è, è talmente nascosta, da non coinvolgere chi lavora dentro alla Ferrari. Se per i tifosi la rossa è una religione, direi che manca l’officiante che sappia alimentare quella passione e quell’orgoglio che devono avere tutti i dipendenti della Ferrari. Il lunedì dopo gare era un inferno se perdevamo, e uno stimolo a fare meglio se vincevamo. Montezemolo sapeva coinvolgere tutti. Si vinceva? Dava la scossa a fare meglio e a curare i punti negativi pur nel successo. Si perdeva? Diventava una furia. Trasmetteva a tutti quella passione e quell’entusiasmo, magari in modo esagerato, ma c’era una trasmissione di amore e passione per la Ferrari che alla fine coinvolgeva tutti, facendoli sentire orgogliosi di appartenere a questa squadra. Adesso sembra tutto normale, quasi scontato. Non so se il presidente attuale partecipa alle riunioni del lunedì mattina dopo gare e se viene a Maranello se frequenta la squadra o sta chiuso in ufficio. Guidare la Ferrari non è come guidare una azienda qualsiasi. Non lo è, serve quella spinta e quella passione per il marchio, quella vicinanza al mondo delle corse e non della finanza che sembra prevalere adesso, solo così si ritorna allo spirito vincente di una grande squadra”.