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Un giro senza respiro, probabilmente senza scendere sotto la quarta marcia, con un susseguirsi di curve rapidissime, in parte cieche: vedendolo in versione virtuale, al momento l’unica percorribile per farsi un’idea, il circuito di Jeddah incute quasi timore. Non aiuta il fatto che la posta in gioco sia particolarmente alta, con i mondiali ancora da assegnare sul filo sottile che separa la gloria da un errore fatale per le speranze iridate, soprattutto per Lewis Hamilton, staccato di otto lunghezze da Max Verstappen in classifica.
Il Gran Premio dell’Arabia Saudita rappresenta una bella gatta da pelare per i team, visto che si tratta di un’incognita piazzata nella parte finale – e in questa stagione, finalmente, di nuovo decisiva – del calendario. Presentato come il circuito cittadino più veloce al mondo, il Jeddah Corniche Circuit rischia sul serio di esserlo, al di là del maquillage del reparto comunicazione della F1. Secondo le elaborazioni, il 79% della pista sarà percorso in pieno. A Monza, tanto per scomodare il tempio della velocità, siamo intorno al 70%.
La pista di Jeddah dovrebbe essere percorsa a una velocità media di circa 250 km/h, con la differenza, sostanziale rispetto a Monza e affini, dell’assenza di vie di fuga significative per la maggior parte del tracciato. È un circuito cittadino sotto steroidi, insomma, in cui i piloti si troveranno ad accarezzare i muretti come a Montecarlo e a Singapore, ma su un layout che – perdonate il paragone vezzoso – pare una forcina per capelli, con lunghi dritti e curve velocissime, pronte a trarre in inganno anche i più navigati.
L’insidia più grande, però, potrebbe essere un’altra. La pista di Jeddah è stata completata in fretta e furia. La gara in Arabia Saudita è stata ufficializzata a marzo, e le tempistiche per la costruzione della pista erano talmente strette da aver fatto temere il peggio, un mesetto fa, quando le immagini da Jeddah restituivano un cantiere tutt’altro che in via di conclusione. Il superlavoro degli operai, lodato dai vertici della F1, ha consentito di completare l’opera in tempo. Ma c’è qualcosa che potrebbe ancora andare storto.
Che le strutture collaterali siano state ultimate a ridosso della data clou, poco importa ai fini sportivi. Molto più rilevante, invece, è il fatto che l’asfalto sia stato posato di recente. Le conseguenze di un manto nuovo, non gommato e pronto a sgorgare materiale oleoso, le abbiamo viste lo scorso anno a Istanbul, con un asfalto che pareva una distesa ghiacciata, costringendo i piloti a prodezze da pattinatori. Certo, a Jeddah non farà freddo come a Istanbul nell’ottobre 2020, e Pirelli ha portato mescole più morbide rispetto alla Turchia, ma l’asfalto rappresenta comunque l’incognita più ostica per i team.
Una situazione poco piacevole, che lo diventa ancora meno se, come nel caso di Jeddah, non ci sono vie di fuga a mitigare eventuali uscite di pista dovute alla mancanza di grip. Il rischio è che nella giornata di venerdì si assista a diversi incidenti, che, in caso di bandiera rossa, ridurrebbero ulteriormente il tempo già esiguo per saggiare dal vivo una pista che i piloti hanno provato solo al simulatore. E se il problema asfalto si manifestasse anche per qualifiche e gara, per i piloti un giro senza respiro come quello di Jeddah diventerebbe ancora più adrenalinico. Roba da togliere il fiato. O, nel peggiore dei casi, da distruggere le speranze mondiali di qualcuno.