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Dopo McLaren, Williams e Racing Point, anche la Formula 1 mette i propri dipendenti in cassa integrazione: la misura, che interessa la metà dello staff della società, è stata presa per via della crisi generata dalla pandemia di Coronavirus, che sta mettendo in ginocchio il mondo, Circus compreso. Il top management della F1 si è tagliato lo stipendio del 20%, mentre indiscrezioni vogliono una riduzione ancora più significativa del proprio compenso da parte del CEO, l'americano Chase Carey.
La situazione finanziaria della Formula 1 non è certo rosea: l'ipotesi peggiore è quella di non poter disputare gare quest'anno, ma anche se si riuscisse a correre, bisogna tenere conto degli introiti mancanti delle gare non disputate. Se si dovesse poi scendere sotto le 15 corse, la F1 dovrebbe restituire alle televisioni quanto pattuito. In tutto questo, la F1 deve comunque corrispondere ai team quanto guadagnato lo scorso anno, per un totale di 101 milioni di dollari.
Dal momento dell'acquisizione della Formula 1 da parte di Liberty Media, il numero di dipendenti è cresciuto significativamente: nel quartier generale di Londra, sono impiegate 400 persone. Così come Williams, McLaren e Racing Point, anche la F1 approfitta del regime di cassa integrazione britannico, simile a quello vigente in Italia, con l'80% dello stipendio corrisposto dallo Stato. Dopo il rinvio dell'introduzione del nuovo regolamento tecnico al 2022, allo studio, come rivelato dal CEO della McLaren, Zak Brown, c'è la riduzione del budget cap, fissato a 175 milioni di dollari per il 2021.