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La F.1 alla guerra delle mutande, in Spagna domenica prossima la seconda puntata della diatriba fra la federazione e i piloti. A Miami non è passata inosservata la polemica a distanza fra la FIA e i piloti in merito all'abbigliamento obbligatorio da indossare in gara. Vietati piercing, collane e orologi e indumenti intimi non omologati contro il fuoco. La norma esiste da tempo e la conoscono tutti i piloti che scendono in pista, non solo in F.1. Quindi un qualcosa che si sa, si conosce e che è stato ribadito dai direttori di gara dei GP. Ma allora perché i piloti, in testa Hamilton e Vettel, hanno inscenato una protesta silenziosa e anche ironica? Lewis si è presentato con sei orologi, dodici collanine e diciotto piercing (esagerato il concetto ma era per far capire come ha provocato), Vettel ha indossato un paio di mutante grigie sulla tuta verde Aston Martin, in chiara polemica con la circolare della federazione che impone due gare per adeguarsi, pena sanzioni ai piloti disobbedienti. Se esiste una norma, va rispettata: perché allora i piloti protestano?
Perché dietro c'è altro, qualcosa che potrebbe esplodere da un momento all'altro e che vede due fronti contrapposti e in guerra fra loro. La F.1 è gestita da un promoter americano che ha vari interessi e attività nell'ambito comunicazione, comprese catene TV, giornali e altre amenità. La gestione del mondiale deve portare soldi e per questo il CEO, Stefano Domenicali, sta rinnovando contratti a lungo termine o firmandone di nuovi. E' una F.1 molto made in USA nello spirito, tanto che a Miami è andata in scena una replica del superbowl in chiave motoristica. Finti porti con yacht veri, 28 mila dollari ad occupante, finto mare in cartone verniciato, piscine vere con sabbia vera a bordo pista e tribune a 5 mila dollari al mercato nero. Un successo. Che la gara sia stata una delle più noiose del mondiale, altro conto. Lo spettacolo, con tanto di scorta di polizia e sirene spiegate, in stile Miami Vice, piace agli americani e chi, in Europa, a tarda notte cercava di dare un perché a questa messa in scena, è rimasto deluso.
Ovvero, lo spettacolo F.1 è stato pensato per le TV e basta. Una sorta di grande fratello reale col virtuale. La FIA è un ente no profit per cui in teoria non potrebbe beccare un soldo. Se la FIA che detiene i diritti sportivi non ha voce in capitolo, come fare a far capire che è lei che comanda? Semplicemente ricordando le regole e che sono vietate le mutande e gli orecchini. Ed ecco la protesta ironica dei piloti (spesso non capita dal pubblico) e il braccio di ferro intestino fra FIA e Liberty Media e le squadre. Quindi tutto sto flusso di denaro deve essere convogliato in qualche modo e spartito con tutti. Altrimenti qualcuno potrebbe ipotizzare di organizzarsi in proprio al di fuori della federazione. La F.1 fai da te, su piste proprie (Miami, poi Las Vegas e altre ancora) con regole condivise e gestite da sé, senza che un qualsiasi direttore di gara possa venire a sindacare sulle mutande del pilota. Ecco cosa sta succedendo dietro le quinte da quelle parti...