Formula 1: cosa resterà di questi anni Dieci

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Il GP di Abu Dhabi 2019 è stato il capitolo finale di un decennio di Formula 1. Ecco cosa resterà di questi dieci anni della massima serie del motorsport
24 dicembre 2019

La storia della scienza è costellata di menti brillanti che hanno effettuato scoperte che hanno cambiato il mondo in giovanissima età; Werner Heisenberg, ad esempio, aveva 24 anni quando pubblicò la teoria sulla meccanica quantistica che gli valse il Nobel per la Fisica qualche anno più tardi. Si tratta di un paragone che, con le dovute misure e pur in campi diversi, può mettere in crisi tanti giovani, ma certo non Fernando Alonso all’inizio del 2010. Alonso, all’epoca 28enne, aveva già lasciato un segno importante in Formula 1, ottenendo due titoli mondiali consecutivi, nel 2005 e nel 2006, ponendo fine all’epoca d’oro di Michael Schumacher e della Ferrari.

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All’inizio di una nuova decade, dopo l’esperienza negativa in McLaren con il rapporto fratricida col rookie Lewis Hamilton e due anni alla Renault, senza una vettura competitiva, Alonso era pronto per il grande salto. Quale modo migliore di proseguire la sua carriera se non quello di approdare alla Ferrari, cercando di rinverdire i fasti del Kaiser, che per la stagione 2010 sarebbe invece arrivato alla Mercedes, dopo tre anni di stop? Alonso incominciò al meglio questa nuova sfida, vincendo la prima gara della decade che ora si appresta a finire, il Gran Premio del Bahrain, il 14 marzo del 2010.

Ad un inzio così sfavillante non seguì però l’epoca di grandi successi che Alonso – e con lui i tifosi della Ferrari – si aspettavano. A rompere le uova nel paniere all’asturiano pensò un giovane che aveva già fatto vedere le sue capacità vincendo a Monza sul bagnato nel 2008: parliamo ovviamente di Sebastian Vettel. Una volta risolta a suo favore la forte tensione interna alla Red Bull con il più esperto Mark Webber, Vettel diede inizio ad un’epoca d’oro durata ben quattro anni.

Sebastian Vettel nel 2010, l'anno del suo primo titolo mondiale
Sebastian Vettel nel 2010, l'anno del suo primo titolo mondiale

Forte di monoposto velocissime sul giro secco, capaci di agevolarlo nella ricerca della pole position, Vettel si trovava nelle condizioni ideali per tirare la zampata vincente in gara. Vettel, lo si sarebbe capito ancora meglio più avanti, è in grado di esprimersi al meglio quando parte davanti e prosegue nello stesso modo. Più o meno la situazione tipo negli anni del dominio Red Bull, pur con la strenua concorrenza di Alonso, che in effetti per due volte, nel 2010 e nel 2012, ha portato la Rossa vicina al titolo mondiale, senza però riuscire nel suo intento.

L’esperienza di Alonso in Ferrari si concluse al termine della stagione 2014, la peggiore dell’asturiano alla Rossa, con un solo podio a Shanghai. «Non voglio più arrivare secondo», la motivazione di Alonso, che si ritorse contro di lui, visto che l’asturiano si ritrovò a fare i conti con la mancanza di competitività e soprattutto di affidabilità del motore Honda della McLaren. Storico il suo team radio nel GP del Giappone 2015, con il propulsore definito «GP2 engine» davanti ai capi della casa nipponica. Il “samurai” Alonso non ha mai perso la sua verve, ma ha certamente raccolto molto meno di quanto seminato in questo decennio.

Il 2014 ha rappresentato la chiave di volta della decade della Formula 1. Cinque anni fa ebbe inizio l’era dell’ibrido, con il passaggio dai motori ad aspirazione naturale agli attuali V6 turbo di 1.6 litri accompagnati da due sistemi di recupero dell’energia, la MGU-K e la MGU-H. Una rivoluzione copernicana, fatta di power unit sofisticatissime quanto fragili, ma di un sound sicuramente meno coinvolgente rispetto al passato. Il 2014 vide l’alba di un dominio schiacciante, quello della Mercedes, che quell’anno vinse il titolo piloti con Hamilton e quello costruttori.

I soccorsi dopo il terribile incidente occorso a Jules Bianchi a Suzuka: era il 5 ottobre del 2014
I soccorsi dopo il terribile incidente occorso a Jules Bianchi a Suzuka: era il 5 ottobre del 2014

Il 2014, però, segnò anche una delle pagine più buie della storia recente della Formula 1. Il 5 ottobre di quell’anno, sotto la pioggia battente di Suzuka, Jules Bianchi si schiantò contro la gru posizionata a bordo pista per recuperare la vettura di Adrian Sutil. Fu un impatto violentissimo, quello del francese della Marussia; in televisione non fu mai trasmesso, vista l’entità dell’incidente, ma sulla Rete spuntarono alcuni video, francamente superflui. Bastavano le parole eleganti di Sutil, che, per rispetto nei confronti della famiglia, scelse di non parlare, per capire la gravità di quanto successo.

Bastava anche guardare lo sguardo perso nel vuoto dei tre piloti a podio quel giorno, Hamilton, Rosberg e Vettel, messi per la prima volta concretamente davanti alla propria mortalità. Dopotutto anche loro, come chi scrive, erano cresciuti nel post Senna, nella convinzione che sì, il motorsport era pericoloso, ma la F1 negli anni era diventata sicura. Incidenti come quello di Kubica in Canada nel 2007 erano la dimostrazione concreta del fatto che le monoposto fossero molto più solide del passato. Il fato, però, è stato brutale con Bianchi, che finì la sua corsa nove mesi più tardi in un ospedale a Nizza.

Il danno assonale diffuso rimediato da Bianchi nell’impatto contro la gru non lo uccise sul colpo, ma non gli permise di riprendersi. Bianchi fu trasportato dal Giappone nella sua Nizza, dove morì il 17 luglio del 2015. Avrebbe compiuto 26 anni il mese successivo. A piangerlo c’erano i suoi colleghi di F1, ma anche un ragazzino che con lui aveva un rapporto speciale, Charles Leclerc, il suo figlioccio, che negli anni successivi ha completato il percorso interrotto da Bianchi, arrivando in Ferrari, là dove il pilota nizzardo era probabilmente destinato ad approdare, se il destino non avesse voluto diversamente.

Lewis Hamilton ad Abu Dhabi nel 2014: in quel weekend vinse il primo titolo con la Mercedes
Lewis Hamilton ad Abu Dhabi nel 2014: in quel weekend vinse il primo titolo con la Mercedes

La seconda metà degli anni Dieci in Formula 1 ha visto il prosieguo del dominio della Mercedes. Inizialmente nella scuderia di Brackley ha fatto da padrona la bruciante rivalità interna tra Hamilton e Rosberg, culminata più di una volta in contatti. Come dimenticare lo scontro in curva 4 nel 2015 a Barcellona ad inizio gara, davanti all’allora boss di Daimler, Dieter Zetsche? Dopo essere stati pesantemente redarguiti – ad ammetterlo, tempo dopo, fu Niki Lauda – Hamilton e Rosberg spostarono la loro lotta sul piano psicologico.

Tra frecciatine e dichiarazioni fatte per destabilizzare l’altro, i due arrivarono alla resa dei conti definitiva nel Gran Premio di Abu Dhabi del 2016. A vincere il titolo mondiale fu Rosberg, e ad Hamilton questo smacco non andò mai giù, tanto che ancora adesso i rapporti tra i due, una volta grandi amici, sono freddi. Ad Hamilton pesò il fatto di non potersi prendere la rivincita in pista contro un pilota che non sentiva alla sua altezza: una settimana dopo la vittoria del mondiale, Rosberg annunciò il suo ritiro per dedicarsi alla famiglia. La pressione subita durante l’anno era stata troppa.

Dopo l’ammutinamento di Rosberg, per Hamilton si aprì una nuova era: la competizione maggiore, nel 2017, non fu quella del suo nuovo compagno di squadra, Valtteri Bottas, ma quella di Sebastian Vettel. La Ferrari, dopo anni difficili, stava cominciando a ritrovare competitività, e Vettel sarebbe dovuto essere pronto ad approfittarne. Il vero nemico di Vettel negli ultimi anni, però, non è stato Hamilton, ma sé stesso. Il tedesco, dopo anni di dominio con la Red Bull, ha infatti mostrato tutta la sua fragilità psicologica, con una serie di errori molto lunga.

L'esultanza di Sebastian Vettel in Ungheria nel 2017
L'esultanza di Sebastian Vettel in Ungheria nel 2017

Da Baku 2017, fino ad arrivare all’harakiri di Interlagos 2019, Vettel, spesso costretto a non partire in pole come ai tempi d’oro, non ha mostrato la lucidità necessaria ad imporsi sulla concorrenza. Vettel è un uomo troppo riservato perché possa aprirsi sulle motivazioni di queste debolezze, ma gli ultimi anni hanno restituito un’immagine del tedesco molto diversa rispetto a quella del giovane vincente ed esuberante dei tempi della Red Bull.

Forse qualcosa è andato storto internamente alla Ferrari, forse le grandi aspettative dell’approdo alla Rossa, un sogno diventato realtà per un pilota cresciuto con il mito del Kaiser, si sono scontrate con un ambiente che nel corso del tempo gli è diventato ostile. Qualunque sia il motivo, il campione, da semidio quasi infallibile, è diventato umano, forse troppo per un ambiente competitivo come quello della Formula 1.

Le cose per Vettel sono ulteriormente peggiorate quest’anno, perché il tedesco della Ferrari si è ritrovato un concorrente spietato in casa. Il giovanissimo Charles Leclerc, 21 anni al debutto in Australia, si è subito mostrato rapidissimo, mettendo ancora più sotto pressione Vettel. A differenza di quest’ultimo, Leclerc ha retto benissimo la pressione di essere un pilota della Ferrari, non solo per la benevolenza da parte del team, ma anche per una disposizione personale diversa, probabilmente frutto del suo vissuto personale difficile.

Il trionfo di Charles Leclerc a Monza quest'anno
Il trionfo di Charles Leclerc a Monza quest'anno

Negli ultimi anni Leclerc ha subito diverse perdite, tra cui quella del padrino, Jules Bianchi, figura fondamentale nella sua crescita, ma anche del padre, Hervé. Pochi giorni dopo la sua scomparsa, nel 2017, Leclerc corse a Baku in GP2 e vinse. Segno, questo, di una forza e di una compostezza invidiabile, tratti che fanno il paio alla grande determinazione a lasciare il segno in Formula 1. Determinazione che Leclerc condivide con un pilota dal carattere diametralmente opposto al suo, quel Max Verstappen diventato il più giovane di sempre a vincere una gara, a 18 anni e rotti, nel 2015.

Talento precocissimo, quello del figlio d’arte olandese, arrivato minorenne in Formula 1 e subito capace di manovre esaltanti, ma anche di errori di valutazione grossolani, frutto di un carattere sicuramente esuberante. Senza peli sulla lingua – si vedano i suoi recenti commenti sulla Ferrari – e forse fin troppo istintivo, Verstappen è l’esatto contrario di Leclerc, animato nei suoi team radio ma pacatissimo nel post gara. Inevitabile che due come loro non andassero d’accordo, sin dai tempi dei kart.

E già alla fine di questi anni Dieci ha fatto così capolino una rivalità che con tutta probabilità definirà la prossima decade. Verstappen e Leclerc, però, sono solo due dei giovani talenti arrivati in Formula 1 alla fine del decennio e destinati a darsi battaglia nel prossimo: si pensi a Norris, ad Albon, e anche a Russell, meno esposto degli altri perché relegato in fondo alla classifica, ma notato dagli addetti ai lavori giusti. Un vivaio di giovani che fa ben sperare per il futuro, ma che dovrà vedersela, almeno inizialmente, con quel vecchio leone di Hamilton, ancora non pago pur dopo tanti successi.

Lewis Hamilton festeggia il suo sesto titolo mondiale in carriera, segno della sua grande longevità
Lewis Hamilton festeggia il suo sesto titolo mondiale in carriera, segno della sua grande longevità

Stregato dallo showbiz, Hamilton ha tutte le possibilità per vivere una seconda giovinezza fuori dalla Formula 1, ma la voglia di mangiarsi viva la concorrenza è ancora la stessa di quando era un rookie, frutto della faticosa scalata verso il successo e dei sacrifici suoi e della famiglia per centrare l’obiettivo F1, che Hamilton non dimentica. Anche se lui non ama parlarne, c’è poi un obiettivo concreto: raggiungere e battere il record di vittorie iridate di Michael Schumacher, magari proprio con la Ferrari, come vogliono le indiscrezioni dell’ultimo periodo.

Ferrari che, dal canto suo, chiude la decade 2010-2019 senza un titolo mondiale. Non sono stati anni facili, questi, per la Rossa: tanti i cambiamenti al vertice, con gli avvicendamenti di Stefano Domenicali, Marco Mattiacci, Maurizio Arrivabene e Mattia Binotto alla guida della squadra e quello di Luca di Montezemolo, Sergio Marchionne e John Elkann alla presidenza. Un organigramma sempre in divenire, per un team che, una volta trovata la quadra a livello di competitività, non ha saputo essere all’altezza della Red Bull prima e della Mercedes dopo in termini di strategia.

Ci sarebbe ancora tantissimo da dire su questo decennio di Formula 1, ma vale forse la pena volgere già lo sguardo verso gli anni Venti, nei quali la Formula 1 dovrà necessariamente evolversi per sopravvivere. Il nuovo regolamento tecnico per la stagione 2021 promette più spettacolo in pista e meno differenze tra le scuderie al top e quelle più piccole in termini di competitività. Solo il tempo ci dirà come andranno le cose, ma per trattenere i grandi nomi del settore automotive e attirare nuovo pubblico servono storie e personaggi avvincenti.

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