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C’era una volta il GP d’Austria, considerato da molti come la terza gara italiana, visto che nel week end di ferragosto frotte di tifosi tricolori affollavano le colline attorno a Zeltweg. Era una corsa magica dove la passione e le tende si sprecavano, con la ricerca dei funghi lungo le stradine attorno alla pista, chiasso unico, serate memorabili e tanta voglia di corse.
Poi tutto finì e della F.1 di un tempo c’è rimasto solo il nome del posto, Zeltweg, anonimo centro a qualche centinaio di km da Vienna, e una pista che è stata stravolta nel disegno e nelle strutture. Per capire perché un tifoso italiano dovesse andare a Zeltweg vale la pena raccontare gli inizi di una passione per le corse che han portato chi scrive ad affrontare situazioni uniche.
Come faccio a seguire la corsa dal mare? Semplice: vado in Austria!
Un esempio? Estate 1983, il sole cocente della Puglia non tiene a freno la voglia di corse. A ferragosto si corre in Austria, ma come fare a seguire il GP visto che trovare una televisione accesa, sintonizzata sulla RAI che trasmetteva la gara, era praticamente impossibile? Le spiagge non erano attrezzate, i parenti il 15 d’agosto avevano altro da fare che alle 14 tenere accesa una TV su una roba, la F.1, che manco sapevano cosa fosse. E allora ecco l’intuizione: Ferrari Club Imola organizza trasferta a Zeltweg partenza il sabato pomeriggio dal parco Acque Minerali, autodromo, e rientro domenica sera dopo la corsa.
Prezzo tutto compreso 50 mila lire. E qui scatta la molla del folle che non vuole perdersi la gara. La Ferrari, in quel 1983, sta andando abbastanza bene. Tambay e Arnoux ci fanno sognare, la Renault con Prost non appare imbattibile. E quindi, si parte. Si salutano i genitori, si prende il primo treno per Imola dalla stazione di Foggia dopo aver preso un autobus il sabato mattina affollato di bagnanti. Con lo zaino in spalla, panini a sufficienza per i tre giorni della trasferta (chi lo sa quali condizioni avrei trovato per strada) si arriva dopo cinque ore e mezza di viaggio a Imola.
Lunga attesa nel parco dell’autodromo, un panino mangiato in mezzo alle formiche e poi il via con l’autobus del club Ferrari. Al mio fianco un turista giapponese, Kazhuiro Tajima, che da Firenze va a Zeltweg per fotografare la F.1. Parla poco italiano, si fa capire. Cominciamo a fare amicizia. Il viaggio fino a Tarvisio è lungo, arriviamo di sera inoltrata. Ci si ferma a mangiare in un ristorante convenzionato. Frittura di calamari con patatine fritte. L’ideale per le quattro ore di autobus che mancano per arrivare a Zeltweg.
Condizioni ambientali difficili
Tajima mi chiede di Ferrari, dei club, di Monza. Lui va a far fotografie su invito di un amico. Ha un pass per accedere al paddock. Comincio ad avere invidia. Invidia che scompare quando alle 4 del mattino arriviamo in un prato buio e silenzioso, qua e là tende e gente che ronfa. Appena l’autobus apre le porte, entra una ventata di aria gelida. Dai 35 gradi della Puglia siamo passati ai 4 gradi! Zeltweg è in collina, non lo sapevo, lo sospettavo ma non pensavo fosse così freddo.
Indosso un giubbino leggero antipioggia, Tajima comincia a balbettare. Lui ha sandali infradito, pantaloncino corto e maglietta mezze maniche. Trema di freddo, decidiamo di restare a bordo dell’autobus, non prima di andare a fare la pipì. L’autista ci dice di fare attenzione. Non capisco subito il perché, lo intuisco pochi istanti dopo quando vedo la sagoma chiaro scura di Tajima sparire in mezzo al canneto, urla si dimena, accorriamo in suo aiuto. Per andare a fare pipì non ha visto che le canne spuntavano dal torrente e lui ci è finito dentro completamente!
“Honda jr mi vede nelle vesti di giornalista ed è felice per la mia carriera, per lui sono sempre l’amico di Tajima che, ho scoperto poi, lavorava sì per dei giornali giapponesi, ma in realtà fotografava tutto quello che avevano gli avversari e lo consegnava alla Honda, così come traduceva sempre tutti i servizi italiani e li mandava in Giappone, dove erano sempre informati su tutto”
Lo tiriamo fuori, lo copriamo come possiamo e lui che trema e sbatte i denti. Trovare un bar aperto è impossibile, siamo nel mezzo del nulla, non si vede un accidente, solo delle sagome di tende qua e là. Finalmente spunta il sole, l’ambiente si riscalda di colpo e dai 4 gradi si arriva a 30 in un lampo. Ora il problema è inverso. Tajima si avvia verso l’ingresso centrale dove lo aspetta un altro giapponese che gli consegna il pass e lo porta nei box.
Paese che vai... sorprese che trovi!
Io mi avvio verso la curva Bosh da dove si ha un’ottima visuale. L’attesa della gara è lunga, ma col warm up, le categorie di contorno e un incredibile gruppo di tifosi della Ferrari, si fa presto amicizia. Scopriamo che i bagni sono… particolari. Infatti c’è una lunga ringhiera di metallo in cui si va a fare pipì e questa scorre verso valle, finendo in un torrente che costeggia la curva e che poi sfocia in un canneto conosciuto… quello dove Tajima è cascato durante la notte!
Devo trovare un modo di lavorare in F1. Ma per ora è solo un sogno...
Immaginate i rifiuti di qualche migliaio di persone e la quantità presente e capirete perché il povero fotografo giapponese non avesse un odore proprio idilliaco. Parte la gara, Ferrari che si difende, ma vince Prost. Si torna alla base sul solito autobus e Tajima, che indossa una maglietta Honda pulita, è rinfrancato. Ha fatto belle foto, ha lavorato molto e pensa che seguirà altre gare. Lo invidio per il pass, devo trovare il modo di entrare anche io nei box, magari lavorare in F.1, ma è solo un sogno.
Tornando a casa sull’autobus mi dice che era ospite Honda, che debuttava con la Spirit di Johansson e che il suo amico Hirotoshi lo ha coinvolto per il futuro. Chi è il suo amico lo scopro qualche tempo dopo. Montecarlo 1984 per la precisione. Quando Tajima invita a cena c’è anche lui. Cominciamo a scherzare, a lanciare palline di pane, a fare casino da paura. Mi consegna il bigliettino da visita. C’è scritto Hirotoshi Honda presidente Mugen.
Quella volta che non sapevo di essere a cena con il figlio di Soichiro Honda!
Cioè è il figlio di Soichiro Honda in persona!! E Mugen è la società che costruisce e prepara i motori Honda di F.1. Mugen in giapponese significa infinito, ovvero le tantissime possibilità di elaborare un motore da corsa! Comincia una amicizia strana, qualche anno dopo Honda jr mi vede nelle vesti di giornalista ed è felice per la mia carriera, per lui sono sempre l’amico di Tajima che, ho scoperto poi, lavorava sì per dei giornali giapponesi, ma in realtà fotografava tutto quello che avevano gli avversari e lo consegnava alla Honda, così come traduceva sempre tutti i servizi italiani e li mandava in Giappone, dove erano sempre informati su tutto.
Insomma, lo chiamavamo lo spione e lui si schermiva dicendo che non era vero. Di sicuro abitando a Firenze, lavorando per le grosse aziende di moda e stilista sopraffino, la F.1 e la fotografia erano la sua passione. Quando poi sono diventato inviato di Rombo, comprai le sue foto davvero spettacolari e stupende, un vero artista. Il ritorno dal GP fu stancante. Dopo ore di autobus arrivo a Imola, treno per Foggia, dove arrivo all’alba del lunedì, poi autobus per tornare a casa e infine dico che mi riposo un attimo, prima di cena.
Mi sono risvegliato il martedì pomeriggio del giorno dopo, ho dormito per 26 ore di fila…In Austria con Tajima ci sono tornato nel 1987, in auto stavolta, non prima di essere passato a prenderlo a casa sua a Firenze. Stavolta niente dormite in autobus, ma una casa privata vicino al circuito, niente bagni chimici ma quelli della signora che ci ospitava. E niente biglietto prato alla curva Bosh ma un bel pass fotografo per le prime immagini vendute ai giornali locali.
“Totale del viaggio, 180 km andare, altrettanti a tornare e una notte insonne… Questa è la mia Austria, paesaggi belli, laghetti incantati, verde ovunque e il nulla assoluto davanti all’ingresso pista, con due distributori di benzina vicino all’autostrada, qualche negozietto e poi il vuoto assoluto”
Di nuovo in Austria nel 1997: mancava l'allegra brigata degli italiani
In Austria son tornato poi nel 1997, quando il vecchio circuito era solo un ricordo, così come la folla di tifosi che a ferragosto affollavano le tribune. Il nuovo calendario lo aveva spostato a settembre, faceva freddo ed era triste, di italiani in tribuna molti meno del passato e mancava quell’allegra brigata di cacciatori di funghi. Il tracciato era diverso, meno impegnativo e pericoloso, un’altra pista senza anima, sperduta in mezzo alla Stiria.
Un posto alla Magny Cours, per intenderci, ovvero dove il momento più bello era quello del ritorno a casa, rigorosamente la notte della domenica perché di restare lì non se ne parla proprio. Basti dire che dal circuito all’hotel di un paesino a 30 km di distanza (ma ho dormito anche a 70 km in montagna in mezzo al niente) arrivati al ristorante alle 19.35 ci siam sentiti dire che era chiuso e che non si poteva mangiare. E attorno, per 30 km, non c’era niente. Tanto che alcuni colleghi di Tele+, che all’epoca trasmetteva le gare, preferirono andare a Salisburgo per cena, fermarsi in un locale notturno e tornare indietro per le cronache solo la mattina dopo.
Totale del viaggio, 180 km andare, altrettanti a tornare e una notte insonne… Questa è la mia Austria, paesaggi belli, laghetti incantati, verde ovunque e il nulla assoluto davanti all’ingresso pista, con due distributori di benzina vicino all’autostrada, qualche negozietto e poi il vuoto assoluto. Per la cronaca Tajima è ancora un mio grande amico, vive a Firenze e la sua primogenita l’ha chiamata Senna… Chissà perché, vero mr Hirotoshi Honda?