Formula 1. Al pranzo di Natale della Ferrari abbiamo capito perché Fiorano è speciale

Formula 1. Al pranzo di Natale della Ferrari abbiamo capito perché Fiorano è speciale
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Il nostro primo giorno in Ferrari, al tradizionale pranzo di Natale dedicato alla stampa, ci ha fatto capire quanto sia speciale l'atmosfera di Fiorano
19 dicembre 2024

C’è un motivo se Fiorano è il luogo dei ricordi più indelebili dei piloti della Rossa. Sebastian Vettel e il suo casco con scritto “il mio primo giorno in Ferrari”, Carlos Sainz e quel debutto da pilota della Rossa che si ricorderà finché campa, Lewis Hamilton che non avrebbe voluto esordire nei test ad Abu Dhabi peché in quel modo avrebbe perso l’occasione di uscire dai box che hanno visto passare tanti campioni. La ragione l’abbiamo capita alla nostra prima volta nei luoghi in cui è nato e continua a essere alimentato il sogno di Enzo Ferrari.

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Una volta passati i cancelli per andare ad accomodarsi nella splendida sala con vista sul circuito nella quale è stato organizzato il tradizionale pranzo di Natale per la stampa, non abbiamo potuto fare a meno di sentire aria di casa. C’è qualcosa di avvolgente e accogliente intorno alla pista di Fiorano, come se i sogni di tutti i piloti che sono sfrecciati sul circuito dessero il benvenuto a chi arriva. Ma è lo stesso pranzo ad aver assunto i contorni di una festa allegra, e allo stesso tempo ricca di sostanza.

Dopo il lungo Q&A con Fred Vasseur, generoso nel rispondere alle domande dei giornalisti in un ambiente che ricordava quello delle media session in pista, è arrivato il momento del pranzo vero e proprio. La disposizione dei tavoli, con i posti a sedere ragionati con cura in base alla provenienza geografica e alle inclinazioni linguistiche dei partecipanti, ricordavano quasi l’atmosfera di un matrimonio. Ma a dare vivacità ha pensato una sorta di speed date.

Fred Vasseur, Jerome D’Ambrosio, Loic Serra, Matteo Togninalli, Enrico Gualtieri e Diego Ioverno si sono avvicendati ai diversi tavoli, accomodandosi per rispondere con garbo e generosa disponibilità alle domande dei giornalisti. È stato un modo non solo per farsi raccontare qualcosa del futuro della Ferrari, ma anche per conoscere meglio i protagonisti del suo presente, di quel qui e ora in cui si costruisce un potenziale avvenire iridato.

Siamo stati colpiti dalla fierezza di Jerome D’Ambrosio mentre spiegava che, una volta appeso il casco al chiodo, non ha mai più voluto salire su una macchina da corsa. Come a voler dare un taglio netto tra quello che è stato e quello che sarà. Il suo presente, da vice di Vasseur, è arrivato per una proposta che non era possibile rifiutare, la chiamata da parte della Rossa. È stato così anche per Loic Serra, che ci ha stupiti per la timidezza quando, con il volto leggermente arrossato, ci ha spiegato che da bravo uomo di fatti e numeri davanti ai giornalisti ha la tendenza ad ammutolirsi.

C’è stato spazio anche per disquisizioni culinarie, come è inevitabile che sia se al tavolo sono presenti italiani e francesi, pronti a una sfida al piatto più succulento, con un assist dalla Spagna. La ricetta per il tortellino perfetto e le distinzioni tra le varie tipologie di pasta ripiena sono stati il contorno perfetto a riflessioni sul futuro tecnico della Rossa, con il 2026 che in fondo è ormai dietro l’angolo. Gualtieri ci ha spiegato che la power unit, a cui in Ferrari si lavora alacremente da tempo, avrà una rilevanza non da poco, che si giocherà non solo sulla potenza espressa. Ma prima di tutto questo arriverà il progetto 677, la prima Ferrari di Lewis Hamilton, chiamata a riportare l’iride a Maranello dopo una lunga assenza.

Era ancora tutto possibile, nella fredda e limpida giornata di dicembre che ci ha accolti a Fiorano, una terra di motori che non perde la sua genuinità, nonostante sia immersa nella sofisticazione di una Formula 1 sempre più complessa e mai banale. C’è un futuro tutto da scrivere per una scuderia che sembra più vicina al successo di quanto non lo sia mai stata nel suo passato recente. Dando uno sguardo alla pista di Fiorano dal nostro posto a tavola, non abbiamo potuto fare a meno di pensare che nel ruolo di osservatori ne saremo in qualche modo parte. E potremo dire, come oggi, che noi c’eravamo.

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