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Cosa significa davvero nella Formula 1 di oggi gestire le gomme? Con il progredire dell’era dell’effetto suolo cominciata nel 2022, è emersa una complessità crescente. Oggi l’introduzione dolce delle gomme nei primi giri di uno stint è diventata un’arma potentissima per poter sfruttare al meglio gli pneumatici nel momento in cui un passo più incisivo può fare la differenza. Ma questa delicatezza richiesta dopo una sosta mal si sposa con la potenzialità di poter sfruttare un altro vantaggio chiave della F1 di oggi, legato alla posizione in pista.
Le monoposto attuali sono talmente sensibili all’aria sporca da rendere il vantaggio di posizione in pista cruciale. Ma quando ci si ritrova alle spalle di un pilota subito dopo una sosta, si presenta un dilemma di non facile soluzione. Meglio tentare il tutto per tutto e passare l’avversario o mollare il colpo, aspettando il momento opportuno per sfruttare il massimo potenziale delle gomme? A ben vedere, dipende tutto dal tempo necessario a perfezionare il sorpasso. Se riesce quasi subito, le gomme non ne risentono più di tanto. Ma bastano pochi giri per compromettere il set, tallonando un avversario.
Ai piloti oggi viene richiesta non solo una grande sensibilità nella gestione in sé delle gomme, ma anche una certa abilità strategica nel capire come declinare i propri spunti in pista per sfruttare al meglio le potenzialità della vettura con una certa mescola. Molti non esitano a definire la F1 di oggi una “Formula Endurance”. Una lettura abbastanza superficiale, se si pensa che da un lato le corse di durata per certi versi oggi hanno dei ritmi da gara sprint, e dall’altro che gestire sapientemente le coperture è una virtù così come lo è andare a tavoletta.
La F1 di oggi probabilmente non piacerebbe granché a Michael Schumacher, che negli anni conclusivi della sua carriera, al ritorno nel Circus con la Mercedes, si lamentava della necessità di coccolare le gomme Pirelli, assai diverse dalle coperture cui era abituato in precedenza. Schumacher aveva l’innata capacità di esprimere una velocità impressionante giro dopo giro, senza risparmiare nulla. Una virtù, questa, che nella Formula 1 post 2011 non può emergere per forza di cose.
Anche dei piloti attuali sono stati svantaggiati da questo cambiamento. Willi Weber, storico manager di Michael Schumacher, nel 2006 aveva definito il suo assistito Nico Hulkenberg come l’erede naturale del Kaiser. Al netto dell’iperbole, evidente col senno del poi, in effetti qualcosa in comune c’era, ed era proprio la capacità di tirare fuori il massimo dalla monoposto per l’intera durata della gara. Se in F1 si potesse ancora andare a tavoletta in gara, forse Hulkenberg avrebbe avuto una carriera con maggiori soddisfazioni.
In ogni caso, è indubbio che ciascuna era della F1 abbia incoronato il re che sapeva sfruttare meglio le sue doti naturali in relazione alla natura delle monoposto dell’epoca. La differenza tra i talenti eccezionali e i piloti competenti la fa proprio la capacità di portarsi in una categoria a parte se equipaggiati con una vettura che esalta le proprie qualità. Sebastian Vettel riuscì a dominare la F1 all’inizio dello scorso decennio grazie alla sua incredibile abilità nell’adattarsi a monoposto dotate di scarichi soffianti, Lewis Hamilton è stato dominante in un’epoca in cui il suo stile di guida fatto di frenate aggressive e profonde faceva la differenza.
Questo assunto vale anche per l’attuale dominatore della Formula 1 attuale, Max Verstappen, la cui preferenza per auto con un anteriore tagliente e preciso e con un posteriore di cui controllare sapientemente l’instabilità incontra le condizioni in cui le monoposto di oggi diventano naturalmente più prestazionali. Al mero stile di guida, però, oggi si aggiungono la sensibilità e l’intelligenza nella gestione delle gomme. Che, contrariamente a quanto può pensare qualcuno, non rappresenta un limite della F1 di oggi, bensì una nuova sfida per i piloti.