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Fernando Alonso è uno di poche parole. A prima vista sembra un freddo. In realtà è tale solo quando sale in macchina e pensa a farla andare il più forte possibile.
Per il resto non è raro vederlo scherzare a pochi minuti dalla gara. Oppure nei box, quando fa le imitazioni dei manager o dei tecnici. Se non addirittura del Re di Spagna. Alla Minardi ricordano ancora quando, imitando Gustav Brunner, si fece preparare via radio la macchina ai box lasciando a piedi il compagno di squadra o come quando imitò Briatore, chiedendo modifiche varie.
Alonso è il mix perfetto fra cuore e cervello. Uno al quale il rispetto ti viene spontaneo darlo.
Ad esempio, a chi gli chiedeva perché in Brasile nel 2003 non avesse rallentato quando Webber uscì di pista e c’erano rottami dappertutto, Fernando rispose serafico: «Volevo vincere, la macchina andava bene». «Vabbè, ma potevi farti male» gli dissero... «Ho rallentato ma si vede che non l’ho fatto abbastanza». Sceso dalla macchina, trasportato in ospedale con diverse contusioni, Alonso è stato il primo pilota della storia della F.1 ad aver ricevuto il trofeo a letto, fra radiografie e dottori.
Fiorio urlò di farlo scendere perchè andava troppo forte sull'acqua, ma lui stava solo scaldando la vettura
Ed era solo il 2003, ovvero due anni prima della conquista del primo titolo mondiale di F.1 Segno che i caratteri del campione c’erano tutti. Che il ragazzino andasse forte, lo si è capito subito. Appena Cesare Fiorio, all’epoca DS della Minardi, lo fece provare a Jerez. Fine anno 2000. Tempo da lupi, pioggia a catinelle e Fernando che va come una scheggia: «Fatelo rientrare che questo si ammazza» disse Fiorio ai meccanici.
E una volta ai box lo rimproverò per essere andato troppo forte. «Ma veramente stavo scaldando la macchina» disse Alonso. Quando poi lo lasciarono fare, scoprirono che diceva la verità e che aveva ancora margine...
Per capire la personalità di Fernando Alonso vale la pena ricordarne le origini. Il padre, a Oviedo, nelle Asturie, fino a qualche anno fa si guadagnava da vivere lavorando esplosivi per le cave di pietra della zona e per i fuochi d’artificio delle feste patronali.
Una vita pericolosa e di stenti. La mamma faceva la commessa ai grandi magazzini El Corte Engles.
Una vita da gente povera alla quale però non mancava niente. La passione per i motori iniziò così ad animare il piccolo Fernando fino a farlo salire sui kart, con la complicità del padre, ex pilota di turismo, che aveva una gran voglia di trasferire nel figlio la passione per le corse.
Poi arrivarono i primi soldi, quelli del trofeo Open Nissan e il nuovo lavoro di Alonso senior al fianco di Adrian Campos, primo manager di Fernando.
Gli inizi. Nel 2001 le prime gare in F.1
Nel 2001 iniziò la sua avventura in F.1, alla guida della Minardi e Alonso già faceva parlare di sè: i meccanici lo prendevano in giro perché diceva sempre che a 30 anni avrebbe smesso di correre dopo aver vinto tre Mondiali e avrebbe scritto un libro sulle donne, che lui aveva capito subito.
«Dai Alfonso, sali in macchina e spara meno cavolate» gli dicevano i meccanici. E lui: «Io me chiamo Alonso, non sono Alfonso, claro?». E i meccanici: «Vabbè, Alfonso, salta in macchina e datti da fare che dobbiamo andare a mangiare».
Ma Alonso si era guadagnato comunque la stima di tutti, anche se la griglia di partenza lo vedeva sempre in fondo. E tanto per fargli capire che si era meritato il rispetto della squadra, da Alfonso cominciarono a chiamarlo Fernandel, oppure Nando...
Fernando, c'è da andare a fare la spesa. Mi raccomando i biscotti per Jarno che li inzuppa nel the al limone
Dopo una stagione di corse, Flavio Briatore voleva a tutti costi il pilotino, ma in squadra non aveva posto dato che c’erano già Trulli e Button. Lo mise a fare i collaudi, ma siccome la Renault provava poco e c’era spazio solo per i due titolari, ogni tanto il buon Fernando veniva utilizzato anche per altri servizi.
Per esempio, dopo la corsa in Spagna, faceva la spola dall’autodromo all’aeroporto per portare Briatore o qualche tecnico che aveva fretta.
Fernando non si lamentò mai! Neanche quando ai test invernali finirono i biscotti secchi, dei quali Jarno era ghiotto. «Fernando, c’è da fare la spesa, mi raccomando i biscotti per Jarno che li mette nel the al limone; vai al supermercato qua vicino che ci servono subito».
Un altro avrebbe mandato a quel paese il cuoco e Jarno, Alonso invece si mise in macchina per andare a recuperare le confezioni di biscotti: «Piacciono anche a me, meglio abbondare».
Sempre, sempre disponibile. Come quell'altra volta quando la squadra doveva spostarsi da Barcellona a Valencia per i test mentre i motor home dovevano andare in Inghilterra. Bisognava spostare un po’ di pentole, forchette e materiale vario per la cucina. «Nando, c’è da caricare le pentole» e lui tranquillo, a riempire il bagagliaio della macchina aiutando i cuochi a farci stare tutto.
Una volta in pista dovette anche dare una mano in cucina alle ragazze del catering, ma non disse nulla e non protestò.
Dei tre titoli mondiali, che il giovane Alonso si era ripromesso di vincere prima dei 30 anni, per ora Fernando ne ha vinti due. Di libri, per adesso, non ne scrive, ma si può stare certi che da una mente come la sua qualcosa salterà fuori. Come la pantomima che fa ad ogni vittoria. Ora simulando un arciere, ora facendo il gabbiano. Una sorta di messaggio in codice per i suoi amici e meccanici, coi quali lega molto.
I duelli contro Michael Schumacher
E pensare che nel 2005 riuscì a vincere un mondiale battendo Kimi Raikkonen senza far capire le tensioni patite. Il capolavoro di quella stagione, però, fu la vittoria a Imola, davanti a Michael Schumacher. Gli ultimi giri di quella corsa furono esaltanti perché da una parte c’era il giovane campione, dall’altra il vecchio ed esperto puricampione.
Fu un duello duro, ma corretto, senza esclusioni di colpi, con Alonso che chiudeva tutte le traiettorie, e quando era il caso, che frenava a metà curva. Proprio come faceva sempre Michael Schumacher.
Nel 2006 la situazione si ribaltò. Stavolta fu il tedesco a vincere, controllando Alonso nello stesso modo in cui lo spagnolo aveva avuto ragione del tedesco l’anno prima. E miglior duello non poteva esserci: stessa pista, il Santerno, stesse macchine, Ferrari e Renault, stessi piloti.
I duelli con Schumacher furono durissimi, senza esclusioni di colpi, ma sempre con correttezza
Il passaggio di consegne simbolico si può dire sia avvenuto proprio in quel frangente. La stagione 2006, però, al contrario di quella vittoriosa del 2005, video lo scontro
diretto fra Alonso, sempre su Renault e la Ferrari. Se nel 2005 la Rossa non si inserì nella lotta per il Mondiale lasciandola a Raikkonen con la McLaren, nel 2006 il botta e risposta fu diretto, duro e senza esclusioni di colpi.
Sette vittorie per Alonso, come nel 2005, sette per Michael. La differenza era fatta solo dai piazzamenti e dalla meccanica.
Nel momento culminante della stagione, alla penultima data a Suzuka, Schumacher ruppe un motore quando era saldamente in testa alla gara. Il mondiale a portata di mano quando il fumo bianco costrinse il tedesco alla resa, come all'ultimo appuntamento nel GP del Brasile. Alonso conquistò così il suo secondo Titolo senza però, strano a dirlo, farlo rimpiangere ai ferraristi.
Questa è la storia di un ragazzo freddo dal cuore caldo, chiamato Fernando Alonso.