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Quando si parla di Stati Uniti d’America non si può che pensare alle famose praterie da vecchio west, alle grandi e tentacolari metropoli protagoniste di migliaia di film e serie TV, oppure le lunghe e soleggiate spiagge della Florida e della California e al fascino che esercitano sulle persone. Ecco, anche la Formula 1 specialmente negli ultimi anni è rimasta vittima di questa attrazione e grazie alla proprietà americana di Liberty Media, ha incrementato notevolmente la sua popolarità nel nuovo continente, superando un iniziale scetticismo che da sempre bolla gli americani come non adatti ad uno sport come la F1. Questo ha via via portato ad un sempre maggiore interesse a portare le monoposto oltreoceano, e ad avere addirittura 3 appuntamenti fissi nel calendario, con una recente ipotesi anche per un quarto GP da disputare a Chicago. Oltre all’ormai collaudato COTA, anche i GP a Miami e Las Vegas sembrano destinati ad avere un posto fisso nei campionati dei prossimi anni. Ma a ben guardare, non è la prima volta che la F1 vive una sorta luna di miele con gli States, tra la fine degli anni ‘70 e l’inizio degli anni ‘90 ci furono svariati tentativi di conquistare il pubblico americano, peccato però che i risultati furono ben diversi da quelli sperati, e portarono talvolta a dei veri e propri flop, ancora ricordati come alcuni dei peggiori Gran Premi mai disputati.
Le radici del rapporto della F1 con l’America affondano però già negli anni ‘50, quando si cercò addirittura di includere la leggendaria Indy 500 nel calendario. Anche in questo caso però l’interesse fu scarso, poiché le squadre europee tendevano a disertare l’appuntamento per concentrarsi sulle tappe europee. L’esigenza di avere un Gran Premio degli Stati Uniti ufficiale portò a due tentativi a Sebring e a Riverside nel biennio ‘59-’60, ma fu poi nel 1961 che l’evento trovò una sede stabile nel celebre tracciato di Watkins Glen, che ospiterà il circus con 2 denominazioni diverse ininterrottamente fino al 1980. Già dal 1976 infatti erano infatti 2 i GP disputati sul suolo americano. Il Glen ospitava il cosiddetto Gran Premio degli Stati Uniti d’America-Est, mentre il suggestivo cittadino di Long Beach ospitava quello dell’Ovest. Già dalla sua introduzione però, quest’ultimo ebbe problemi soprattutto di natura organizzativa e finanziaria nonostante la discreta popolarità della gara e rimase in calendario solo fino al 1983. Memorabile quest’ultima edizione, vinta da John Watson partendo dal 22esimo posto, ma sono ricordate anche quella del 1980 con l’incidente occorso a Regazzoni, che lo costrinse sulla sedia a rotelle e quella del 1982, caratterizzata dalle forti polemiche tra squadre e federazione. Comunque, la parentesi Long Beach fu certamente quella di maggior successo.
Molto più fallimentare fu il primo tentativo di portare il Circus a Las Vegas. Il famigerato circuito del Caesar Palace, ubicato nel parcheggio dell’omonimo albergo, ospitò le gare dell’81 e dell‘82 in sostituzione di Watkins Glen ed è ricordato tutt’oggi come uno dei circuiti più brutti ad avere ospitato una gara valida per il mondiale. Più simile ad un kartodromo che ad un vero autodromo, venne criticato per la tortuosità e per il layout anonimo, al punto che nel 1982 si dovette ricorrere a pitturare sull’asfalto i numeri delle curve, per facilitarne il riconoscimento nelle riprese televisive. Ebbe perlomeno il merito di assegnare il Campionato del Mondo in entrambe le edizioni, grazie alla sua posizione come ultimo appuntamento. A proposito di 1982 e di ricorsi storici, in quell’anno gli appuntamenti negli States furono ben tre. A Long Beach e al Ceasar Palace venne affiancato il nuovo cittadino di Detroit. In verità anch’esso estremamente dimenticabile e mai veramente apprezzato da piloti e addetti ai lavori in quanto troppo tortuoso e soggetto a cedimenti dell’asfalto per via anche del gran caldo non diede di certo lustro alla città dei motori, ma restò in calendario fino al 1988 ospitando l’unico gran premio degli Stati Uniti a partire dal 1985.
Long Beach, Las Vegas, Detroit… Manca ancora qualcosa. Dopo un tentativo fallito di portare il Circus a New York, nel 1984 ci fu un altro, grottesco appuntamento in terra americana col famigerato Gran Premio di Dallas. La gara, tenutasi in un torrido luglio texano, è passata alla storia come una delle, se non la peggiore gara di Formula 1 mai disputata. Tra disastri organizzativi al limite dell'assurdo, asfalto che si sbriciolava e muretti che non rimanevano nella posizione originaria, incidenti e piloti svenuti sulla pista a causa del caldo estremo, l’unico evento disputato sul cittadino di Fair Park meriterebbe un capitolo a parte. Quel che è certo è che il flop di Dallas contribuì certamente a logorare il già turbolento rapporto della Formula 1 con gli Stati Uniti. Dopo l’ultima edizione disputata a Detroit nel 1988, il Gran Premio degli Stati Uniti si spostò per un’ultima volta a Phoenix, sull’ennesimo cittadino. Tanto anonimo quanto effimero, venne definitivamente cancellato nel 1991 dopo appena tre edizioni. La F1 non tornerà più in terra americana per 9 anni, con il ritorno del catino di Indianapolis che con le sue 8 edizioni risollevò in parte il rapporto tra il Circus e gli americani, non prima però di aver regalato agli albi d’oro la controversa edizione del 2005.
Ovviamente, dopo il grande successo del COTA e l’impennata di popolarità avuta dalla Formula 1 anche fuori dall’Europa, la disciplina sta vivendo una seconda giovinezza anche in terra americana e nonostante alcune critiche ricevute dai due appuntamenti di Miami e Las Vegas, fa bene ricordarsi di quegli anni in cui il rapporto tra F1 e States fu tutt’altro che lusinghiero e di successo.