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Taormina - In occasione della consegna dei Nastri d'Argento 2014, premi cinematografici tra i più ambiti e prestigiosi del panorama nazionale, abbiamo avuto modo di intervistare Pierfrancesco Favino. Il celebre attore italiano, classe 1969, è stato premiato da Porsche con il premio “911 Targa – Tradizione e Innovazione” per l'interpretazione del mitico Clay Regazzoni nel fim Rush di Row Howrd.
L'occasione era di quelle giuste quindi per chiedere a Favino com'è stato calarsi nei panni di un pilota che è stato tra i protagonisti della celebre stagione 1976, quella che ha visto andare in scena il leggendario duello tra Niki lauda e James Hunt.
E' stato difficile calarsi nella parte del mitico Clay Regazzoni?
«Mi ha aiutato tantissimo il contesto, la ricostruzione di quegli anni a livello di set è stata davvero qualcosa di eccezionale. È stato un po' come giocare agli indiani perché siamo arrivati sul set e abbiamo trovato le repliche perfette delle monoposto dell'epoca. Per di più abbiamo avuto la possibilità di guidarle, anche su circuiti veri, essendo affiancati da piloti professionisti per le scene più delicate. Avevo assistito una sola volta ad un vero GP nella mia vita, ma mentre giravamo il film sembrava davvero di trovarsi all'interno di una gara vera e propria. Il livello della produzione era talmente alto che sono entrato in un mondo straordinario».
Qual era il tuo rapporto con la Formula 1 prima di girare Rush?
«Sarei un ipocrita a definirmi un appassionato di Formula 1. Come buona parte degli Italiani però sono Ferrarista e come molti connazionali ho passato spesso le domeniche accompagnato dal ronzio dei motori durante i Gran Premi. In un periodo della mia vita ho seguito le gare del Circus moltissimo e ho ancora alcuni piloti a cui sono rimasto molto legato, a partire da Ayrton Senna, il cui documentario considero un pezzo di cinema straordinario».
E cosa conoscevi di Clay?
«Ovviamente ho dovuto approfondire le mie conoscenze sulla F1 e soprattutto sulla vita di Clay Regazzoni. Conoscevo questo pilota e conservavo ancora il ricordo di quando lo vedevo correre da bambino, con i suo baffoni. Avevo l'immagine di un uomo sempre gioioso e vitale e poi, approfondendo le mie conoscenze su di lui, ho capito che mi ero fatto un'idea davvero corretta su quest'uomo».
Cosa hai fatto per documentarti sulla vita di Regazzoni?
«Mi sono documentato attraverso una serie di libri, poi mi sono rivisto moltissimi video e le sue corse. Ho rivisto poi anche le sue apparizioni in TV che non avevano niente a che fare con la F1, come quella volta che andò a Canzonissima oppure le pubblicità per cui aveva fatto il testimonial all'epoca. Sono andato a scandagliare anche il suo mondo collaterale allo sport, utile per capire quali potessero essere le sue timidezze o cosa non lo facesse sentire a completamente a suo agio nella F1. Poi ho avuto la fortuna di parlare con la figlia e di conoscere tutto quello che aveva fatto dopo l'incidente che lo costrinse alla sedia a rotelle.»
Qual è la cosa che ti è piaciuta di più di questo personaggio?
«In questo personaggio ho trovato però sempre una grande vitalità, anche dopo il coinvolgimento in F1. Penso per esempio a tutto quello che ha fatto per i disabili, spendendosi perché non cedessero all'idea della disabilità. Ho trovato una persona dall'animo esemplare sotto tanti aspetti».
“Niki Lauda è un pilota che parlando dei rapporti veri che ha avuto in F1 ha citato proprio Clay Regazzoni. Ed è stato Clay a portare Lauda in Ferrari. Tra i due c'è stata quindi grandissima stima”
Regazzoni e Lauda si ritrovano compagni di squadra ma erano personalità molto diverse...
«Prima di tutto Niki Lauda è un pilota che parlando dei rapporti veri che ha avuto in F1 ha citato proprio Clay Regazzoni. Ed è stato Clay a portare Lauda in Ferrari. Tra i due c'è stata quindi grandissima stima. Regazzoni però era una figura forse più vicina a quella di James Hunt, interprete di una F1 vissuta in maniera più muscolare, improvvisata e rock 'n roll. Una F1 più improvvisata, dove il pilota emergeva per il suo talento innato. Niki Lauda invece è stato il primo a portare in F1 una conoscenza tecnica e ingegneristica della macchina, da vero collaudatore, che era inimmaginabile all'epoca. Oggi tutti i piloti sono così, ma Lauda fu il primo a dimostrarsi competente ad alto livello. Con lui non era più solo una questione di talento, perché lui era riuscito a diventare il tecnico di se stesso, con una competenza tecnica sul motore incredibile per quegli anni.»
Com'è stato lavorare con Ron Howard, uno dei più grandi registi attuali?
«Come sempre lavorare con Ron Howard e tutto il suo team è qualcosa di unico. Ci avevo già lavorato con Angeli e Demoni e ho avuto la fortuna di essere richiamato ancora una volta. Per me è una persona straordinaria, lo considero un amico e lavorare insieme a lui è sempre un privilegio enorme».
Il regista ti ha chiesto di privilegiare qualche aspetto in particolare di Clay?
«Direi di no, Ron Howard è un regista che lascia tantissima libertà all'attore per costruire il suo proprio percorso sul personaggio».
Hai preferito lavorare con Daniel Brühl (nel film Niki Lauda, ndr) o con Chris Hemsworth (James Hunt, ndr)?
«Ho girato prevalentemente scene con Daniel Brühl, dal momento che interpretava la parte di Niki Lauda, mio compagno di squadra nel film. È nato un grande rapporto di amicizia tra noi, che si è consolidato anche dopo aver finito di girare. Al di fuori del lavoro ci siamo visti e abbiamo continuato a sentirci, gli ho mandato da poco un messaggio di sfottò per l'eliminazione della Spagna dai Mondiali, ma lui ha ricambiato presto quando gli Azzurri sono tornati a casa. È anche venuto recentemente a vedermi a teatro a Firenze, perché si trovava in Italia per girare un film. Ho avuto invece poche occasioni di lavorare insieme a Chris che ha interpretato James Hunt perché con lui abbiamo girato due scene più o meno insieme».
“È come quando sei su uno scoglio a 40 metri di altezza e ti devi buttare. Senti il desiderio di saltare, ma dall'altra parte c'è qualcosa che ti trattiene. Qui ho capito la differenza tra un uomo comune e un professionista”
Girare Rush ha cambiato la tua percezione sul motorsport?
«Assolutamente sì. Penso che sia davvero difficilissimo immaginare lo stress fisico di un pilota se non si è entrati almeno una volta nell'abitacolo di una monoposto».
Com'è stato mettersi al volante della mitica Ferrari 312T di F1, protagonista della stagione 1976?
«E' stata un'esperienza prima di tutto angosciante. Avere addosso quelle cinture, che ti immobilizzano, ti fa capire subito che per sopravvivere potrai contare soltanto sui movimenti di mani, collo e piedi. Lascia davvero a bocca aperta poi la quantità di vibrazioni a cui è sottoposto il pilota, che all'epoca usava un cambio manuale e aveva soltanto un disco di gomma al collo per protezione».
L'hai anche accesa? Com'è stato sentire il sound del 12 cilindri di Maranello?
«Sì, eccome se l'ho accesa, ci ho fatto pure qualche metro guidando personalmente. Appena ho messo in moto il 12 cilindri non riuscivo a crederci. Nonostante fosse una replica, appeno ho acceso quel motore e ho sentito la risposta di cui era capace, ho provato delle emozioni incredibili. È come quando sei su uno scoglio a 40 metri di altezza e ti devi buttare. Senti il desiderio di saltare, ma dall'altra parte c'è qualcosa che ti trattiene. Qui ho capito la differenza tra un uomo comune e un professionista, perché quanto si avverte questa sensazione fortissima, il vero pilota non può che buttarsi, da quello scoglio».
Aver toccato con mano le monoposto di quell'epoca leggendaria non ti ha fatto pensare che la Formula 1 di oggi abbia perso u po' del suo smalto? Quest'anno è sparito pure il sound...
«Per quanto si dica che la tecnologia abbia abbassato le difficoltà di guida io, dalla mia esperienza, posso dire che le cose non sono poi tanto cambiate. Basta considerare le enormi dispersioni di energia che ci sono durante la guida ed il fisico che devono avere per forza i piloti. Persone che devono sviluppare allo stesso tempo una capacità sovrumana di controllo del cervello, per tenere sotto controllo la stanchezza o per prevedere in tempi impercettibili come affrontare al meglio una curva. Sono dei super-uomini. E non immaginavo fosse così, lo ammetto. È come quando si guarda una partita di calcio, son tutti bravi a dire “tirala in porta quella palla”, poi vorrei vedere tutti questi esperti ritrovarsi in campo a giocare a quella velocità! La preparazione fisica e mentale per guidare su un circuito a quelle velocità richiede un talento unico, allora come oggi. Prima di giudicare da casa bisognerebbe riflettere un po' di più».
“Prima di giudicare da casa bisognerebbe riflettere un po' di più”
Ti piacerebbe girare un nuovo film sui motori? Hai qualcosa in cantiere?
«Sì perché no, anche se al momento non ho nulla in cantiere in questa direzione. Ma anche prima di essere chiamato per Rush non avevo la minima idea che sarei finito a fare un film sulla F1».
Quando ti rivedremo al cinema, in un nuovo film?
«Uscirà il prossimo autunno un film, che peraltro ho co-prodotto. È un'opera prima del regista Michele Alhaique che si intitola Senza nessuna pietà».