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Lo si rivede in quello che è stato il suo ambiente naturale per anni, e sembra che Sebastian Vettel non se ne sia mai andato. Il quattro volte campione del mondo è ritornato nel paddock a Imola, dove domenica prima del GP di Formula 1 porterà in pista la McLaren MP4/8 con cui Ayrton Senna nel 1993 a Donington riuscì a incantare il mondo intero. Pioveva in quel giorno di 31 anni fa, esattamente come oggi. Ma quando Vettel, capello corto e faccia pulita, si è presentato davanti ai giornalisti come faceva fino a qualche tempo fa, il meteo ha concesso una breve tregua.
Vestito della maglietta celebrativa di Senna creata per il suo shop e accompagnato dalla sua fedele addetta stampa, Britta Roeske, Vettel ha riavvolto il nastro fino al 1994, l’anno in cui la Formula 1 cambiò per sempre dopo gli incidenti mortali di Roland Ratzenberger e Senna, proprio qui sulle rive del Santerno. “Le velocità sono molto elevate, e il pericolo resta anche oggi – riflette Sebastian -. Ma credo che dopo quel weekend orribile i piloti abbiano fatto coalizione per far sentire la propria voce, e Michael spinse molto con la Federazione affinché le auto e i circuiti fossero più sicure”.
“Tutti i piloti che continuarono dopo quel fine settimana, e tutti quelli che sono seguiti, hanno tratto beneficio da quel weekend, per quanto possa sembrare strano - osserva il quattro volte campione del mondo -. Ne seguì un passo importante per quanto riguarda gli standard di sicurezza. Per quasi dieci anni prima di quel fine settimana la F1 non aveva perso nessun pilota”. La F1, così come la vita, è fatta di corsi e ricorsi. E il Circus si ritrovò nello stesso punto dieci anni fa, prima di una nuova tragedia.
“Eravamo in una situazione simile nel 2014 – ricorda Vettel -. Naturalmente eravamo consapevoli dei rischi connessi al motorsport, ma la morte non si faceva vedere. E poi ci fu l’incidente di Jules Bianchi, che gli costò la vita. Ci si fa un sacco di domande, se si pensa a tutto quello che è stato implementato dopo quello che è successo. Non dovrebbero servire eventi tragici di questo tipo perché succeda, il progresso in termini di sicurezza non è mai abbastanza veloce. Credo però che sia positivo che dopo momenti così bui i piloti cerchino di migliorare la propria sicurezza, anche se prima si pensava che non si potesse fare più di così”.
Si potrebbe pensare che un gravissimo incidente occorso a un pilota della sua generazione, un ragazzo di soli due anni più giovane di lui, avesse instillato dei dubbi in Vettel sul senso della sua carriera, dei rischi che comportava. Ma il momento di alcune riflessioni scomode sarebbe arrivato solo dopo. “Ricordo perfettamente le telefonate con mia moglie nel 2019, quando Anthoine morì a Spa. Mi chiedevo che motivo ci fosse per correre, che senso avesse. Ma è quello che amo, e alla fine decisi di gareggiare”.
Ma il Sebastian di oggi ci penserebbe a tornare a correre? Punzecchiato in merito dalla collega di Repubblica, Vettel ha risposto “no, no, no” con un sorriso, prima di scappare verso i giornalisti germanofoni. E in quel momento giocoso si è rivisto il Sebastian birichino, sfrontato dell’inizio della sua carriera, quello col ditino puntato a ogni vittoria. È stato solo un lampo, ma il Vettel ragazzino da qualche parte ancora c’è. E chissà che il Sebastian di oggi non possa decidere di fare il suo ritorno ufficiale in pista in un ambiente che lo aggrada. Il test con la Porsche LMDh del WEC, dopotutto, fa capire che il pallino non gli è ancora passato.