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Come direbbe Daniele Silvestri, per Valtteri Bottas più in basso di così c’è solo da scavare. Il finlandese della Mercedes ha preso una traiettoria discendente in picchiata, diventando l’ombra di sé stesso. Il tutto condito da un retrogusto fantozziano che lo rende quasi una macchietta. A Monaco è rimasto fregato da un dado spanato, a Baku è arrivato in ritardo dopo essere rimasto bloccato per ore in aeroporto in Finlandia. E, una volta sceso in pista, in Azerbaijan è stato un disastro.
Per Bottas si è trattato di un remake della gara di Imola. Quando la Mercedes – vuoi per le basse temperature, come sulle rive del Santerno, vuoi per il layout della pista, come a Baku – fatica a portare nella corretta finestra di utilizzo gli pneumatici, per il povero Valtteri diventa tutto disastroso. Perché Lewis Hamilton, con il suo stile di guida aggressivo, riesce in qualche modo a metterci una pezza. Mentre Valtteri si arena nelle propaggini della classifica più lontane dalla vetta.
Vedendolo superato mestamente pure da Antonio Giovinazzi, con tutto il rispetto per il pilota di Martina Franca e per l’Alfa Romeo, viene da pensare che Bottas quel posto in Mercedes non lo meriti più. Si aprono così gli scenari – per ora fantasiosi, poi chissà - di un possibile retrocessione alla Williams, frutto di un avvicendamento con George Russell. Un dato di fatto c’è: quando la Mercedes diventa vulnerabile, Valtteri si fa piccolo piccolo. Ma i problemi di Bottas, al momento sesto in classifica piloti, a Baku sono stati solo la punta dell’iceberg per la Mercedes.
La scuderia di Brackley a Baku ha incassato un doppio zero che, statistiche alla mano non accusava da quasi tre anni. L'ultima volta in cui entrambi i piloti della Mercedes non colsero punti risale al GP d'Austria 2018, e, in quell'occasione, a pesare furono problemi di affidabilità. Ed è un risultato che pesa come un macigno sul mondiale costruttori. Perché, in assenza di Max Verstappen, fermato dalla crudele foratura della posteriore sinistra a pochi giri dal termine, il secondo pilota della Red Bull, Sergio Perez, si è fatto valere, cogliendo una vittoria che fa bene sia al suo morale che al mondiale del team di Milton Keynes.
Bottas, invece, non avrebbe potuto contribuire alla causa della sua scuderia dopo l’errore di Lewis Hamilton, visto che si trovava lontano anni luce dalle posizioni nobili della classifica. E il fatto di aver tagliato il traguardo davanti al suo compagno di squadra, ma comunque fuori dai punti, è una magra consolazione per Bottas, che ora, nel mondiale, si ritrova davanti a sé Perez, Norris e Leclerc. Non è certo il miglior biglietto da visita, anche perché i ruoli con la Red Bull sembrano essersi invertiti. Ora è la Mercedes a giocare con una sola punta.
Valtteri in gara è stato penalizzato da un assetto più carico rispetto a quello di Hamilton, ma è pur vero che una Mercedes non può restare bloccata nelle retrovie per tutta la gara. La sensazione, però, è quella che il vero valore della scuderia di Brackley a Baku fosse più vicino a quello di Bottas che a quello di Hamilton. Va detto che Bottas è stato sacrificato sull’altare delle scie per agevolare Lewis. Ma, visto quanto mostrato da Bottas nelle libere, la sua difficoltà nel portare in temperatura le gomme lo avrebbe comunque relegato molto, troppo indietro. D'altro canto, la configurazione scarica di Hamilton lo ha sì agevolato in qualifica, ma gli ha complicato l'esistenza per la gestione del degrado delle gomme in gara.
Il vero problema della Mercedes, però, è un altro. Perché ieri Bottas è stato un ectoplasma, ma Lewis Hamilton ha commesso un errore da penna blu. Aveva appena finito di dire via radio che avrebbe optato per una filosofia da ragioniere alla ripartenza, quando si è prodotto nel lungo che gli ha fatto gettare alle ortiche 18 punti. Ha pasticciato, toccando inavvertitamente la levetta che chiamano magica, ma che più che magica ha una funzione pratica, perché modifica la ripartizione di frenata per scaldare le gomme nel giro di formazione.
Nella F1 ipertecnologica di oggi, anche un tocco impercettibile con il polpastrello può fare la differenza tra una buona prestazione e un disastro. Ma un calo di concentrazione del genere non è accettabile per un sette volte campione del mondo, che si è fatto fregare come un pollo. Il motivo per cui Lewis ha perso la trebisonda è molto semplice: era spossato. Lo si è capito quando è sceso dalla macchina dopo la bandiera rossa causata dall’incidente di Verstappen. Visto che Lewis ha 36 anni, il dubbio si insinua: non saranno i prodromi di una fase calante dal punto di vista fisico e mentale? Verrebbe da dire di no. Il problema, a nostro avviso, è diverso. E duplice.
Prima di tutto, Lewis sembra essersi disabituato a una condizione di inferiorità, o, comunque, a dover lottare con un avversario temibile. Nelle ultime due stagioni, è palese, Hamilton ha vinto sostanzialmente indisturbato. E se il fatto che non abbia avuto cali di rendimento è encomiabile, è indubbio che una pressione del genere Lewis non la percepiva da anni. La posta in gioco è altissima, in questo 2021 pepatissimo. C’è di mezzo una sfida generazionale, e l’orgoglio di un pilota che non ha vinto sette mondiali per caso, ma non può, e soprattutto, non vuole steccare.
Ma c’è anche un altro fattore che ha pesato a Baku. Lewis è sempre stato al limite, nel weekend di gara che ci siamo lasciati alle spalle. Inseguire non è mai semplice, e basta un attimo per fare stupidaggini. Più ci si sforza per cavare il sangue dalla rapa, più si arriva vicini al punto di non ritorno fisico e mentale. Il doppio zero della Mercedes nasce tutto da qui, da una monoposto capricciosa e poco versatile, che nelle giornate no è davvero difficile da gestire. Il bailamme nella gestione delle gomme ha reso Bottas un fantasma e Hamilton un pasticcione. Demerito loro, certamente. Ma c’è un concorso di colpa della Mercedes, vulnerabile come non lo era da una vita.