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Sono passati quasi dieci anni, ma Suzuka è sempre la stessa. Pista difficile, barriere poco lontane dal tracciato. Come dieci anni fa. Con piccole variazioni. E il clima, pioveva ad ottobre, piove ad aprile. Comunque la giri, da quelle parti la pioggia è una compagna di viaggio costante. Lo era quel giorno in cui Jules Bianchi, perdendo il controllo della sua monoposto, andò a impattare contro un trattore che stava spostando la macchina di Sutil, fermo anche lui fuori pista per la pioggia battente. Le nuove generazioni di tifosi della F.1 conoscono la morte nel circus per averla letta su riviste o nelle rievocazioni storiche. Con Jules Bianchi la morte in F.1 è tornata prepotente a 20 anni dalla scomparsa di Ayrton Senna, di cui il 1° maggio si ricorda il trentennale a Imola. Ma sono anche 10 anni, o quasi, dalla scomparsa di Jules Bianchi e Maria de Villota, le ultime due sfortunate vittime della F.1 di quel periodo, tralasciando poi gli altri lutti che ne sono seguiti in F.2 e altre categorie. Come dire che il motorsport è pericoloso, ma si tende a dimenticarlo.
Quel giorno a Suzuka accadde qualcosa che cambiò in qualche modo il sistema e il metodo di lavoro della F.1. Se fino a Suzuka 2014 era normale che un mezzo di servizio fosse a bordo pista, o addirittura in pista, con le macchine che circolavano, seppure con ritmi ridotti (e con Bianchi ricordiamo c’era una neutralizzazione della gara in corso che però non impedì la perdita di controllo e l’uscita di pista seguente), da quel giorno è cambiata la procedura e le responsabilità del direttore di gara. Infatti, la F.1 si diede una serie di regole che oggi, a distanza di tempo, spesso dimentichiamo e critichiamo. Oggi appena c’è una macchina fuori pista, si tende a dare bandiera rossa e a interrompere tutto, perché come si era poi visto (ancora Suzuka, un paio d’anni fa) anche con safety car c’è sempre qualcuno che va oltre il limite e per poco non si sfiorò un’altra strage (leggi Gasly a palla contro il gruppone coi commissari in pista a sgombrare i detriti).
Da quel giorno, dopo l’incidente di Jules Bianchi, il ragazzo dal sorriso triste, la F.1 è cambiata. Dagli halo a protezione della testa, alle procedure di intervento, all’uso dei mezzi di soccorso in pista. Sono passati dieci anni, ma sembra ieri. Perché quando guardi le foto di Jules, con i suoi occhi vivaci, il suo sorriso triste, ti viene un magone e un peso sullo stomaco. Le vicende seguenti, le cause della famiglia, le critiche alla gestione dell’evento, le polemiche e tutto il resto, sono parte dell’album dei ricordi di quel periodo storico. Non se ne è venuti a capo, manca il nome di un colpevole, ma l’aver cambiato le procedure, i metodi di intervento e le macchine, fa capire come delle responsabilità fossero presenti. Solo che si scoprono dopo, mai prima. È la storia del motorsport, dopo ogni evento si capisce cosa è andato storto e si corre ai ripari. Leggasi anche l’incidente di Maria De Villota, ferita gravemente alla testa mentre era in un aeroporto a fare un test con la Marussia, la stessa monoposto fatale a Jules Bianchi. Due casi in cui la morte è giunta mesi dopo l’evento, ma sempre ad esso legato. Il lungo coma di Jules, i postumi delle ferite per Maria.
Se la F.1 cambiò in maniera pesante dopo gli incidenti di Senna e Ratzenberger a Imola, è cambiata anche dopo Jules e Maria, ma in maniera meno eclatante e meno evidente. Ciò non toglie che guardando la pioggia di Suzuka, quelle barriere così vicine, quella pista bella e maledetta, il pensiero vada a chi non c’è più e a quel sorriso triste che da lassù, forse, segue ancora quella sua grande enorme passione per la quale ha dato la vita. E chi resta ha il dovere di rispettare e fare di tutto affinché gli insegnamenti vengano applicati e si eviti altre tragedie. I nuovi tifosi della F.1 questo aspetto non lo hanno ancora capito, per loro un GP o la Playstation sono quasi la stessa cosa. Noi vecchi boomer, come disprezzatamente ci chiamano, dopo aver fatto i conti con stagioni tremende dove due o tre piloti scomparivano ad ogni stagione, abbiamo ancora impresso le ferite di quei traumi nel nostro animo. E per questo anche se sono passati quasi dieci anni, non possiamo dimenticare Jules e tutti quelli come lui.