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Ha indossato il casco come al solito, ha stretto le cinture ed è partito per la sua sessione di prove libere. Per Robert Kubica è stato il ritorno ufficiale in pista in un week end del Mondiale di F.1. Dopo otto anni dall’ultima volta che ha calcato le piste al volante di una F.1.
Sensazioni alla guida?
«Niente di che, l’impatto è stato più forte l’anno scorso quando ho ripreso in mano una F.1, ora l’unica cosa che mi piace è che certi meccanismi, certe sensazioni che erano abituali quando correvo tutte le domeniche, stiano tornano a galla e questo mi piace. Poi se mi chiedete se mi dispiace vedere correre gli altri mentre io, dopo il venerdì di prove, sto fermo ai box, sì mi dispiace, ma resto un appassionato di motori, amo il motorsport con tutto quello che ne segue e quindi, invece che stare a casa a pescare o guardare la Tv, sono in pista a confrontarmi con me stesso e con gli altri. Ma è così quindi non posso farci niente e apprezzo quello che ho».
Cosa ne pensa del mondiale? Ha dei favoriti?
«Troppo presto per fare un pronostico, mi pare che la Ferrari abbia fatto un gran lavoro, sono molto competitivi. Non dico che sono i favoriti, ma sono velocissimi. Però abbiamo visto che tutti hanno vinto delle gare che non dovevano vincere sulla carta, per cui il campionato mi pare molto bello, equilibrato anche se visto da dentro e dalla mia posizione. E' una bella sfida a tre con Mercedes e Red Bull, ma penso che il meglio debba ancora venire».
Mi piacerebbe una F.1 leggera, dove spingere al massimo, senza problemi di consumo, una F.1 tirata e dove il pilota possa fare la differenza
Le piace questa F.1?
«Mi piacerebbe una F.1 leggera, dove spingere al massimo, senza problemi di consumo, una F.1 tirata e dove il pilota possa fare la differenza. Oggi si fa tutto al simulatore, anni fa la macchina veniva sviluppata nei collaudi dal pilota, oggi se il computer ha indovinato i parametri, vai forte, altrimenti non riesci più a fare niente. E' tutto fatto in officina, io amo una F1 dove la pista fa la differenza!».
Nella sua carriera ha avuto due incidenti gravi, l’ultimo davvero devastante eppure è tornato al volante di una F1... Come ha fatto a vincere le sofferenze dello stare fuori, il dolore fisico, le paure del rientro?
«Non saprei rispondere. Quando le cose son facili siamo tutti bravi, quando cominciano le difficoltà, ognuno le vive a modo proprio. Conosco gente che ha avuto problemi maggiori o minori dei miei e li ha affrontati con coraggio e a modo suo. Ognuno si rapporta alla sofferenza in maniera individuale, non c’è una regola valida per tutti. La priorità è porsi degli obiettivi raggiungibili, un passo alla volta. Molti mi hanno chiesto perché ho impiegato sette anni a tornare in F.1, semplicemente perché due o tre anni fa non ero pronto. Non c’ero di testa, potevo guidare ma non avrebbe funzionato per vari motivi, non solo fisici. Da tre anni a questa parte sono gli stessi problemi, era solo una questione di testa, resettare alcune cose, far calmare le acque e far passare le cose che ti hanno fatto male. Non dico a livello fisico, ma quelle che ti possono destabilizzare».
Sicuramente la testa fa la differenza...
«Sul piano mentale non so se sono forte o no, so solo che ho la testa dura. A volte è un pregio altre un difetto. In questo caso la testardaggine mi ha aiutato, è emerso tutto il mio carattere. Negli ultimi sette anni, quelli post incidente, la mia testa dura mi ha salvato in parecchi momenti, quando il mondo sembrava essermi contro, quando tutto andava storto. Invece no, non ho mollato e mi sono rimesso in carreggiata e lo sto facendo al meglio».
Ha mai pensato di non farcela... di mollare?
«Tutti mi vedono come un superman, ma io sono un essere umano, una persona che ha dei limiti e coi quali si confronta tutti i giorni. Quando mi guardo allo specchio vedo i miei limiti, poi quando guido li dimentico. Sono concentrato su altre cose, la cambiata, il punto di frenata, il portare al limite la macchina. Ma poi scendo dall’abitacolo e devo confrontarmi con la mia nuova vita. Certe cose le facevo in un modo, adesso devo farle in maniera diversa, come allacciarmi le scarpe al mattino. All’inizio non ci riuscivo nemmeno, adesso ho imparato a farlo in maniera diversa, magari mi viene più difficile ma diversamente ci riesco. Quindi - sorride - perchè mollare?».
Quale è stato il punto di svolta?
«Accettare che certe cose non potevo più farle nella maniera in cui ero abituato prima dell’incidente. È lì che è scattata la molla e ho cominciato a raggiungere lo stesso obiettivo cambiando approccio. I limiti se vogliamo possiamo aggirarli e quindi fare come in pista, sorpassare. Nel bene e nel male, se fossi rimasto mentalmente come ero tempo fa, non avrei questa pace che mi sono conquistata e che fa la differenza. Il mio consiglio, a chiunque passa dei brutti momenti, è quello di lottare, di accettare la realtà, altrimenti vivrai sempre male».
Dopo il male, ecco i giorni felici del ritorno come collaudatore.
«Senza dubbio una grande vittoria. Sto provando delle soddisfazioni diverse rispetto a quelle del passato, l’obiettivo principale, non lo nascondo, sarebbe quello di tornare a correre, ma posso garantire che quando gli ingegneri si ritrovano nelle riunioni tecniche, e magari mi danno ragione su una cosa che gli consigliavo mesi fa, beh è una grossa soddisfazione. E potrei citare altri esempi di soddisfazioni che riesco ancora a provare, pur in un mondo strambo come questo della F.1. Ma sono cose personali, piccoli segreti, invisibili a chi osserva dal di fuori».
Ha mai pensato a cosa avrebbe potuto fare nella vita se non fosse diventato un pilota?
«Forse avrei fatto il meccanico, perché è talmente forte la passione per le automobili che avrei almeno cercato di entrare in questo ambiente».
Mettere su famiglia figli e vivere sereno non è tra i suoi obiettivi futuri?
«Sarebbe bello anche perchè finora non ho corso per questi traguardi. Sono da solo e forse è un bene così, perché se avessi la famiglia non sarei qua in pista a rischiare ancora sulla mia pelle. Se fossi sposato e con figli, dopo quello che mi è successo, avrei sicuramente dato la priorità alla famiglia, le persone che ci amano devono sempre avere la precedenza sulle corse».
Ognuno si rapporta alla sofferenza in maniera individuale, non c’è una regola valida per tutti. La priorità è porsi degli obiettivi raggiungibili, un passo alla volta
So che non ama parlarne ma posso chiederle qual è il suo rapporto con la fede?
«Di fede non parlo mai perchè è una questione troppo personale, interiore, che non mi sento di condividere o di esternare. È qualcosa di mio e non può essere un argomento di discussione. Un po’ come l’amore. In passato sono stato fidanzato per tanti anni, ma non ho mai parlato delle mie cose personali».
Possiamo parlare almeno del “suo Papa”, Giovanni Paolo II...
«Per noi polacchi rappresenta l’uomo prima che il Santo, che ci ha fatto cambiare mentalità, ci ha fatto crescere come nazione e come persone, ci ha indicato in un certo senso la via. Wojtyla ci ha chiesto di “non avere paura” se uno crede, anche in se stesso, in quello che fa, ma soprattutto se ha fede in qualcosa di superiore, allora può farcela».
Dalla pista al calcio, è ancora tifoso del Milan?
«Sì, purtroppo. E devo dire che anche in questo campo negli ultimi anni è stata una sofferenza continua. Dopo le sofferenze per gli incidenti ci mancava solo il Milan - sorride - . Non parliamo dell’ultima partita con la Juve (finale di Coppa Italia persa dai rossoneri, 4-0). Ecco, spero che almeno in questo caso le mie sofferenze e quelli dei tifosi rossoneri siano arrivate alla fine».