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Imola, agosto 1983. Il caldo è assillante e il parco delle acque Minerali all'interno del circuito offre qualche frasca per riposarsi senza bollire. Il viaggio era cominciato la mattina all'alba. Un treno dal Sud per arrivare in autodromo. L'agosto delle spiagge non era al centro degli interessi quanto una gara di F.1. L'annuncio, su un settimanale, diceva che il Ferrari Club Imola organizzava la trasferta a Zeltweg per seguire il GP. Partenza dal parco delle Minerali alle 14. Telefonata, accordo raggiunto, posto prenotato. E via, alle 6 in stazione a prendere il treno. Arrivo a Bologna alle 11,30, cambio di treno, Imola e lunga camminata verso l'autodromo, in attesa delle 15,30 ora di partenza del bus per Zeltweg.
A un certo punto una voce strana dietro le spalle: "Ciao, io giapponese. Non parlare bene italiano. Tu aiutare me? Cercare bus per Austria con club Ferrari". La risposta, logica: "sto aspettando anche io, mangiamo un panino nell'attesa?". E fu così che conobbi Kazuhiro Tajima. Ex meccanico della F.2 giapponese, trasferitosi in Italia a Firenze per conto di una azienda di moda: "A Firenze e dintorni c'è il miglior cuoio del mondo, Italia patria dello stile, io sto cercando materiali e idee per linee di moda in Giappone". Il viaggio in autobus fu lungo, ma la simpatia di Tajima era tanta. Parlava della sua terra, del perché fosse andato in Austria a vedere la gara: "Un amico mi ha chiesto di fare delle foto". Io, invece, da semplice appassionato volevo vedere da vicino la Ferrari che con Tambay ci stava dando delle soddisfazioni come accaduto poco tempo prima a Imola. Arriviamo a Tarvisio, di notte. Ci fermiamo a mangiare in un ristorante. Siamo in montagna e lui che fa? "Frittura di calamari, grazie". E lo seguo nel menù.
Arriviamo a Zeltweg a notte fonda. Fa freddo. Lui, Tajima, pantaloncini corti, infradito, canottiera bianca e borsa con macchine fotografiche al collo. "Hai niente per il freddo?". Risponde di no, perché non pensava che ad agosto facesse così freddo da quelle parti, visti i 40 gradi di Firenze e Imola... Scende dal bus perché deve fare la pipì. Si allontana nel buio e sentiamo un tonfo in acqua e uno che urla. Corriamo a vedere che succede: era Tajima che non si era accorto delle fronde alte che c'era un canale e ci era finito dentro completamente! Tremava di freddo, abbiamo provato ad asciugarlo, gli abbiamo passato qualcosa da mettersi addosso per ripararsi. Poi arriva il mattino. Noi destinazione curva Bosch per vedere il tracciato. Lui diretto verso i box. Parla con un altro giapponese con divisa della Honda, prende il pass, ci saluta e entra dentro quello che sembrava, per noi, il paradiso impossibile.
Finita la gara, torniamo indietro. Mostra i gadget Honda, il pass e ci svela: "Un amico della Honda mi ha chiesto di fare delle foto delle auto, dei particolari segreti, appena sviluppo tutto gli mando il materiale". Perché proprio la Honda? Perché Mauro Baldi correva con la Spirit Honda e cominciava l'avventura nel mondiale del colosso nipponico e per farlo avevano bisogno di materiale per capire, copiare, studiare gli avversari. E per farlo usavano fotografi che sembravano semplici appassionati. Da quel giorno con Tajima abbiamo diviso viaggi e Gran Premi. Montecarlo, Austria, Imola, Monza. Anno dopo anno, giorno dopo giorno, fino a Montecarlo 1985, quando con un pass al collo entro come fotografo accreditato: "O bravo, ora tu pure puoi spiare Honda e mandare foto a Ferrari" mi prendeva in giro.
Andiamo a pranzo in un ristorante subito dietro l'ultima curva del tracciato, vicino a Place D'Armes. C'è un altro giapponese con lui. Non serve parlare inglese, Tajima traduce, mi fa domande. Il tizio bene a canna, una, due, tre bottiglie di vino e poi il cognac alla fine. E' andato, ma allegro. Comincia a tirare molliche di pane, bicchieri d'acqua. E' scatenato. Poi, a fine pranzo, si congeda, mi molla il suo bigliettino da visita e mi dice che da grande amico di Tajima sarò sempre ospite suo in Giappone. Il bigliettino recita: Hirotoshi Honda, Mugen Corporation. Era il figlio del fondatore Soichiro Honda. A tavola con me. A tirare molliche di pane. Col Tajima... La bravura di Kazuhiro prende piede, lavora in modo particolare. Mentre tutti o la maggior parte usa pellicola Kodak, lui usa Fuji Film da 50 asa. Una sensibilità molto bassa ma che consente ingrandimenti eccezionali con particolari unici. La tiene sotto esposta di mezzo diaframma o uno intero, perché così i colori sono più saturi. Mi regala una ventina di rulli. Mi cambia la vita a livello di qualità fotografica.
Ma la sua bravura sta nell'andare in posti dei circuiti dove gli altri non vanno. A fare foto con un taglio particolare, da artista. E' bravissimo, segue Senna, idolo dei giapponesi e a casa sua, a Firenze, mi ospita in un week end e fa vedere scatti fantastici, stupendi. Vere opere d'arte. E poi chiede un favore. Io l'ho nel frattempo presentato ad Alberto Sabbatini, direttore di Rombo, che resta colpito dalle sue fotografie, e decide di usarle. Facciamo un salto di qualità enorme. Ma Tajima ha bisogno di un aiuto. "Mi traduci bene questo articolo che non ho capito?" E restiamo di sasso: Gazzetta dello Sport Corriere, TuttoSport. Autosprint, Rombo: traduceva tutti gli articoli, scriveva a mano (perché non aveva una macchina per scrivere coi caratteri giapponesi) e mandava per fax a un ufficio a Tokyo! Da quella volta lo chiamavamo lo spione e lui rideva.
Sempre disponibile, generoso, con tutti. Regalava pellicole ai fotografi per far provare nuove diapositive, accompagnava in Giappone dei colleghi che non parlavano inglese e li ospitava anche a casa sua. Senna era l'oggetto principale delle sue foto, tanto che l'ultimo scatto in pista, il rottame Williams che rimbalza a Imola dopo l'urto al Tamburello, fu suo. L'ultimo scatto di Tajima a Senna a Imola. Immagini che fecero il giro del mondo e che lui non si fece nemmeno pagare, perché per lui i soldi, in F.1, non erano l'obiettivo principale. Lui amava le corse, la fotografia, ma si occupava di moda. Pelli, tessuti. Tanto che negli anni in cui la Brabham era sponsorizzata Armani, perdevamo più tempo a parlare con Giorgio di stile, tagli e altro che io di F.1. La prima figlia di Tajima l'ha chiamata Senna: "Ma sei matto? Ma come pensi possa vivere una ragazza con un nome simile? " gli dissi. "Senna è stato un grande, credo che sarà orgogliosa di portare un nome di un grande personaggio. Poi Senna finisce per a e quindi in Italia è nome da donna".
Adesso Tajima, a 70 anni da compiere a giugno, non c'è più. Il Covid19 l'ha portato via e con lui una fetta fatta di anni di passione, fotografie, ricordi di trasferte e incontri tutti dominati dalla sua simpatia. A Monza, 1986 o 87, la memoria vacilla, c'è un pilota colombiano che distribuisce caffè, sponsor della sua Ligier. Tajima fa il primo giro, prende il kg e si rimette in coda. Prende il secondo kg e si rimette in coda. Al terzo giro dal bancone gli dicono: "A bello, è la terza volta che fai il giro, quanto caffè vuoi?" . E lui, pronto, rispose: "Ma come? Dite che noi musi gialli tutti uguali, si vede che mi hai confuso con altri due giapponesi che sono passati prima" e prese il terzo kg di caffè. Ecco, ti ricordo così e in tanti altri modi, con quel tuo occhio particolare in cui la fotografia era diventata un'arte e la tua amicizia mi ha insegnato tantissime cose sul Giappone, la cultura, la tradizione e cosa vuol dire lavorare sodo avendo come obiettivo la passione. Arigatò Tajima San, il paradiso dei samurai ti accoglie da eroe.