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Pioveva forte quel giorno. Le scarpe erano degli anfibi pronti per lo sbarco in Normandia, la maglietta un rivolo d'acqua intenso e freddo. Ma il paddock dell'autodromo di Monza sembrava la nostra reggia. Era sabato pomeriggio, di lì a poco sarebbe partita la prima batteria della gara di F.Monza in programma quel giorno. Eravamo in pista preoccupati sotto a una specie di tendone perché col pilota amico Matteo Giuliani non avevamo le gomme giuste. Sulla CRM di Antonio Dalla Vecchia avevamo solo un vecchio treno di Pirelli CN54, ideali per l'asciutto, molto meno per il bagnato. E infatti, chi poteva, cambiava le gomme. Le Kleber erano perfette in quelle condizioni, ma visto che a mala pena c'erano i soldi per la benzina, bisognava adattarsi.
A fianco i ragazzi della Scuderia Salvati erano in fermento. Pippo Bianchi, da esperto campione, aveva già fatto il cambio e stava dando le indicazioni a Ermanno Alboreto, appena giunto nella scuderia e pilota da svezzare come tempo prima era accaduto per suo fratello Michele. Mentre eravamo lì in attesa di schierarci, spingendo la macchina e mettendo un pezzo di sacco della spazzatura sulla tuta di Matteo, per impedirgli o ridurgli al massimo l'acqua, dall'altoparlante dell'autodromo una voce imperiosa. Era Romolo Tavoni, direttore di gara e dell'impianto: "Ermanno Alboreto di corsa in direzione gara, una telefonata urgente dal Belgio. Ho detto di corsa, muoviti!".
Il tono imperioso, la voce che non concede appelli, tutti ci giriamo verso Ermanno, Pippo Bianchi diventa pallido: "Cosa è successo? Sarà mica che Michele....". Michele, quel giorno, era impegnato nelle qualifiche del GP del Belgio di F.1. Una telefonata urgente con Tavoni che aspetta sull'uscio della direzione gara non fa presagire nulla di buono. Ermanno cominciò a correre, noi lo seguimmo. Entrammo nella saletta con Simonetta Fossati, la segretaria, gli fa cenno di andare verso una cabina. Ermanno entrò. Parlò un po', poi uscì. E noi che pendevamo dalle sue labbra in attesa: "Era Michele, mi ha detto che è morto Gilles Villeneuve durante le qualifiche. E' distrutto, era un suo idolo, vorrebbe ritirarsi, mollare tutto".
Mentre restavamo senza parole per capire la portata della notizia, cominciammo ad accendere TV e radio. Le prove non erano trasmesse. Il primo TG aprì con le immagini del volo. Capimmo subito che era finita. L'altoparlante intanto urlò ai piloti di portarsi sullo schieramento. La gara, le gare, proseguirono. Dire chi ha vinto, chi si è ritirato, non lo ricordo. So solo che tutto il pomeriggio fu circondato da un alone di nebbia e un senso di impotenza. Ci guardammo in faccia. Arrivarono Daniele Mercatelli e Meo Maestri insieme, due dei più forti della categoria: "Hai sentito? Ma è vero?". E via di box in box. Caricammo la nostra CRM sul carrello. Antonio non parlava. Partì con destinazione Cinisello Balsamo.
Con Matteo tornammo a casa. Radio accesa. Le notizie erano contrastanti. Dicevano che era vivo, che era in coma. Ma se Michele Alboreto aveva detto che era morto? Poi la notizia ufficiale a tarda sera: Gilles Villeneuve era morto in seguito alle ferite riportate nel volo sulla March di Jochen Mass. Il giorno dopo, tutti a casa davanti alla TV a seguire il GP. Silenzio totale. Un clima surreale, le lotte, le battaglie. Tutto inutile. C'era un senso di vuoto. Che mi spinse a prendere carta e penna e a scrivere a Enzo Ferrari. Un gesto spontaneo, ma anche ingenuo. Figurati se il Commendatore prenderà in considerazione la lettera di un giovane tifoso. Infatti avevamo messo solo la firma senza indirizzo.
Aprii la lettera, poche parole: Grazie dell'affettuoso ricordo e la firma, con la penna dal colore viola, la sua. Non era una stampa, analizzai, controllai, verificai. Era proprio Enzo Ferrari che aveva scritto a un giovane tifoso per ringraziare
E mentre imbucammo la lettera, ci pentimmo. Ormai è fatta. Passò qualche giorno e arrivò il postino, suonò e disse: "C'è una lettera col timbro Ferrari, visto che in paese sei solo tu che segue le corse, deve essere tua per forza visto che c'è solo il tuo nome e la dicitura di cercarti in paese". Aprii la lettera, poche parole: Grazie dell'affettuoso ricordo e la firma, con la penna dal colore viola, la sua. Non era una stampa, analizzai, controllai, verificai. Era proprio Enzo Ferrari che aveva scritto a un giovane tifoso per ringraziare. Lui che ringraziava il tifoso! Se penso che oggi, al professionista con oltre 450 GP in pista, non rispondono nemmeno alle mail per non dire degli auguri di Natale, il contrasto è evidente.
Passò un anno. Eravamo all'8 maggio 1983. A Monza era ancora di scena la piccola F.Panda, gara inaugurale, che aveva sostituito la F.Monza giunta a fine carriera. Un giorno importante. Ricordavamo Gilles Villeneuve, ricordavamo 12 mesi prima la pioggia, la delusione e il dolore. Stavolta c'era il sole. I motori rombavano allegri. Si ripartiva. E partiva qualcosa di nuovo: non ero più al fianco di Matteo, che per i costi aveva dovuto lasciare le corse. Non spingevo più la nostra CRM blu e non cercavo più un treno di gomme Kleber in prestito per la pioggia. Avevo la macchina per scrivere e la macchina fotografica. In quella giornata il regalo di Gilles Villeneuve si concretizzò: ero il corrispondente di Autosprint, cominciava la mia carriera nel mondo delle corse come giornalista e fotografo per il settimanale specializzato che ci ha accompagnato nel corso degli anni. E il regalo di Gilles è uno solo: l'importante è non arrendersi mai. E io non mi sono arreso...