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I protagonisti della Formula 1 possono temere di essere presi a schiaffi dai propri avversari, ma immaginarsi di essere letteralmente colpiti a bastonate sulla schiena dalla propria monoposto rappresenta un gigantesco sforzo di astrazione. Eppure, la sadica Mercedes W13 è riuscita in questa impresa. Ingovernabile quanto un aereo sgangherato in preda a turbolenze incontrollabili, ha reso un supplizio la gara a Baku per George Russell e soprattutto per Lewis Hamilton, messo ulteriormente alla prova da quello che Toto Wolff ha definito “un fondo sperimentale”, portato in pista nel disperato tentativo di ovviare al problema.
Hamilton, a fine gara, si è aggrappato all’halo con le ultime forze in corpo, nel tentativo di uscire dalla prigione che lo aveva ingabbiato per un tempo che deve essergli sembrato infinito. Quella pausa – non di resa, ma di raccoglimento di risorse ancestrali, nascoste – ha fatto il giro del mondo. E lo stesso vale per le dichiarazioni di Lewis post gara. “Ci sono stati diversi momenti in cui ho pensato di non farcela – ha spiegato ad Autosport -. Non sapevo se sarei riuscito a tenere la vettura in pista. Non so se l’avete notato, ma ho rischiato di perdere il controllo diverse volte”.
“Ero preoccupato di finire a muro a 300 km/h. E non credo di averci mai pensato così tanto, da pilota. Non è un cruccio che si nutre, solitamente. È stata un’esperienza stranissima”. Hamilton è arrivato persino a compiere un’altra azione innaturale per un pilota come lui, alzare il piede sul dritto per paura di sbattere. Così come fuori da ogni logica è il fatto che Russell, sballottato come un fantoccio, non riuscisse a vedere il pit board, né tantomeno individuare i punti di frenata.
Dove finisce la difficoltà di un team e inizia l’allarme sicurezza per i piloti? Secondo Russell, la misura è colma. “È solo questione di tempo prima che si assista a un grave incidente. Molti di noi riescono a malapena a tenere la macchina sul dritto passando sulle asperità dell’asfalto”, ha spiegato l’inglese, uno dei due direttori della GPDA, l’associazione dei piloti, a The Race. “Non so cosa ci riserva il futuro, ma non credo che possiamo sostenere una situazione del genere per tre anni, o fino a quando questo regolamento sarà in vigore”, ha aggiunto.
Chris Horner è decisamente poco empatico riguardo alle difficoltà dei piloti della sua ex acerrima rivale Mercedes. Anzi, sostiene addirittura che Russell e Hamilton, ma pure Carlos Sainz – altro convinto sostenitore della necessità di intervenire sul porpoising – vengano incoraggiati dai propri team a lamentarsi. A The Race, Horner ha sottolineato che esiste una soluzione semplice per ovviare il problema: alzare da terra la monoposto, con ovvie conseguenze devastanti sulla performance della vettura.
Horner solleva un punto ragionevole, ma sembra in disaccordo anche con i suoi piloti. Il team principal della Red Bull dice infatti che “se fosse una preoccupazione legata alla sicurezza da parte di tutta la griglia, dovremmo approfondire. Ma se riguarda solo alcune persone o team, sono affari della scuderia”. Ma i piloti, stando a quanto dichiarato da Toto Wolff, sarebbero concordi sull’implementare modifiche, eccezion fatta per Fernando Alonso, che - ci verrebbe da pensare – ha ancora un conto in sospeso con il suo ex compagno di squadra Hamilton, nonostante siano passati tre lustri da quell’esplosivo 2007.
Alonso a parte, la vera opposizione – lo riporta The Race – non arriva dai piloti, ma dai team. Per dare il nulla osta a modifiche regolamentari, sia che siano immediate, che per il prossimo anno, serve l’approvazione di almeno otto team su dieci, e non si è ancora raggiunta questa soglia. Non è difficile immaginare che siano le scuderie che non soffrono del porpoising a bloccare questi cambiamenti.
La stessa FIA parrebbe volersene lavare le mani, nella convinzione che sia compito delle scuderie portare in pista vetture sicure per i piloti, e che debbano essere gli stessi team a intervenire nel caso in cui questo non accada. Ma fino a che punto si possono ignorare i danni fisici – sia immediati, che a lungo termine - e il rischio di incidenti dovuti al porpoising? Se una scuderia non vuole o non può risolvere il problema, deve essere la Federazione a trovare una soluzione. Perché le conseguenze delle sevizie della W13, alla lunga, potrebbero diventare ancora più violente.