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Per anni è stata una presenza fissa nei box della Ferrari, in quanto responsabile dei motori in pista. L’ingegner Pino D’Agostino si distingueva non solo per le sue competenze tecniche, ma anche per quel berretto coi colori tartan di un clan scozzese e per il cantare a squarciagola l’inno di Mameli sotto al podio dopo le vittorie Ferrari. Da tempo è in pensione ma un salto nei box a Imola o Monza lo fa sempre, perché la sua è una passione innata, dai tempi in cui ragazzo intraprese gli studi di ingegneria e lasciò la Puglia, sua terra di origine.
Alla Ferrari ha ricoperto il ruolo di responsabile dei motori e quando fu richiamato in Fiat per gli ultimi anni di servizio, fu sostituito dal giovane Mattia Binotto che D’Agostino aveva “svezzato” al reparto corse. A Monza ha parlato a ruota libera e commentando i pochi giri di Kimi Antonelli con la Mercedes, il tecnico pugliese non ha voluto sparare addosso al giovane bolognese, anzi ne ha tessuto le lodi spiegando anche perché: “Molto semplicemente, siamo di fronte a un salto generazionale. I piloti di una volta, e parlo anche di quelli della mia epoca in Ferrari, ovvero Schumacher, l’esperienza la facevano in pista. Era il feeling del pilota a spingersi più che poteva. Poi ai box si leggeva la telemetria e si capiva come fare le modifiche, ma era sempre il pilota che girando e macinando km, migliorava il suo feeling con la macchina, era il pilota che diceva all’ingegnere cosa voleva".
"Oggi le cose sono cambiate. Perché prendi un ragazzino che viene dalle categorie minori, lo metti al simulatore e poi è l’ingegnere a dirgli dove può accelerare in una certa curva, a che velocità entrare, cosa deve fare per essere veloce. Uno arriva così in pista che non deve scoprire sulla propria pelle cosa deve fare, ma sa già al simulatore che quella curva va affrontata in un certo modo perché la macchina sta dentro. E’ questa la differenza sostanziale fra i ragazzi di oggi e i piloti di ieri. Quelli di ieri scoprivano sulla propria pelle se si poteva fare una certa cosa o no. Se sbagliavano uscivano di pista. Oggi sbagliano lo stesso ma il più delle volte è perché hanno avuto indicazioni sbagliate nelle simulazioni”. Quindi un Antonelli che al secondo giro va già forte è il frutto di questa filosofia. “ovviamente, ma come abbiamo visto l’esperienza di capire se la macchina o la gomma tiene, poi alla fine te la fai in pista, perché non c’è niente come la pista che ti forma. Che ti fa capire la differenza fra un simulatore, dove puoi sbagliare dieci volte e resetti tutto, e la realtà. Ma di certo oggi arrivano in pista molto più preparati e sanno già quale può essere il limite della macchina. Poi i fenomeni ci saranno sempre, non faccio nomi li vedete tutti, ma la differenza generazionale sta tutta qua”.