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Che Max Verstappen fosse speciale lo si era capito chiaramente quel giorno di maggio di cinque anni fa, quando, in quel di Barcellona, alla prima gara in Red Bull, era riuscito ad approfittare dell’harakiri di Lewis Hamilton e Nico Rosberg al via per diventare il pilota più giovane di sempre a vincere una gara in F1. E, nel contempo, zittire chi riteneva indecente che un minorenne avesse avuto la possibilità di debuttare nella massima serie, come aveva fatto senza troppi timori reverenziali un anno prima.
Lo si è capito benissimo anche durante le qualifiche in Arabia Saudita, quando Max ha lasciato con il fiato sospeso chi lo ha osservato solleticare le barriere, senza toccarle davvero, trattenendo il respiro in attesa del piacere unico di domare una pista capricciosa, pericolosa. Tradito dall’ebbrezza di aver sfidato, e apparentemente sconfitto, il pericolo, Verstappen è incappato in un errore banale, che lo ha costretto a un bacio velenosissimo con le barriere. Ma quel giro da paura, sfumato all’ultimo, è la prodezza di un abile equilibrista sul filo del rischio, caduto all’ultimo, come tanti altri prima di lui.
Verstappen, insomma, è un fuoriclasse. Uno di quelli che noti subito in pista, con uno stile personale quanto spericolato. Ma ha un limite, e anche bello grosso. Max si difende sempre come se non ci fosse nessun altro in pista oltre a lui. E, in fondo, per Verstappen è così: l’unica cosa che conta, per Max, è Max stesso. Gli altri piloti, a cominciare dall’uomo con cui si contende il titolo, Lewis Hamilton, sono solo uno strumento per dimostrare di essere il migliore, costi quello che costi. Gli avversari farebbero bene a spostarsi, e, se non lo fanno, sono affari loro.
Si dirà che i campioni veri non sono esenti dall’occasionale scorrettezza, un’osservazione che trova fondamento nella storia della Formula 1, da Schumacher a Senna. Dopotutto, nemmeno Lewis Hamilton è un’educanda, anzi. Ma è in grado di muoversi in modo molto più sottile per indurre l’avversario all’errore, e sa fermarsi un millimetro dopo aver oltrepassato il limite, fatte salve pochissime circostanze. Max, però, è un bulldozer. Quest’anno, solo uno dei due contendenti al titolo ha talvolta alzato il piede: Lewis Hamilton. Quando non è successo, si è arrivati inevitabilmente allo scontro.
Verstappen diventa così l’antieroe per eccellenza, assurto a idolo delle folle solo perché il pubblico si è comprensibilmente stufato di Hamilton e della Mercedes e delle loro ripetute vittorie senza sosta nell’era dell’ibrido. Ma la sua condotta in pista, spinta da un desiderio quasi ancestrale di imporsi sugli altri, come se la parte primitiva della sua mente prevalesse sul resto, è limitante per Max, perché spesso, ma non volentieri, gli complica notevolmente l’esistenza. Il tutto pareva un retaggio del passato, ma appena Hamilton ha rialzato la testa, è uscita tutta l’indole prevaricatrice di Max.
Per diventare il pilota maturo, per quanto aggressivo, che potrebbe potenzialmente essere, Max dovrebbe affrontare un percorso di crescita a partire dalla comprensione di certi atteggiamenti invalidanti. Peccato che nessuna delle persone che lo circonda sia disposta ad aiutarlo a maturare. Il motivo è molto semplice: Verstappen è la gallina dalle uova d'oro, la luce degli occhi degli uomini che lo hanno portato ad un passo dal vincere il titolo mondiale, ma che potrebbero mettere a repentaglio la sua longevità in Formula 1.
Da un lato abbiamo Jos Verstappen, padre padrone che ha forgiato suo figlio con il fuoco di mille rimproveri, per plasmarlo nel campione che non è mai riuscito ad essere nella sua carriera in F1 da onesto mestierante. Dall’altro Helmut Marko, che, prima di essere il deus ex machina della Red Bull, fu un grandissimo prodigio - forse il migliore di una serie di talenti provenienti dall’Austria - la cui carriera fu stroncata praticamente sul nascere dalla perdita di un occhio, lasciandolo con la sola vittoria a Le Mans del 1971 come amaro ricordo di quello che avrebbe potuto essere e non è stato. Papà Jos prima, e il mentore Helmut poi, hanno riversato su Max tutte le loro aspettative disattese, vivendo per interposta persona ciò che non hanno potuto ottenere per motivi assai diversi.
A queste due figure chiave si aggiunge quella di Chris Horner, che, insieme a Marko, ha fatto di Verstappen l’ingranaggio che ha sì spezzato l’oliato meccanismo del vivaio della Red Bull, ma si è fatto promessa di successi futuri. Gli è stata cucita la scuderia su misura, a cominciare dalla monoposto, sufficientemente instabile al retrotreno per solleticare l’appetito di un pilota che è capace di utilizzare questa potenziale debolezza a proprio vantaggio per essere efficace in curva. Una ricetta potenzialmente vincente, ma solo se si è in grado di domare una vettura così capricciosa.
Vista così, sembrerebbe la condizione ideale per esprimere il massimo potenziale. Ma la verità è che tutte le aspettative riposte in Verstappen da questi uomini chiave impediscono loro di contraddirlo. Per loro, Max ha sempre ragione, anche quando ha palesemente torto. Per crescere davvero, Max avrebbe bisogno di qualcuno come Niki Lauda, capace di redarguirlo pesantemente di fronte ad errori che, se ripetuti, potrebbero condizionargli negativamente la carriera, impedendogli di liberarsi di un’immagine scomoda.
Per diventare la miglior versione di sé stesso, Verstappen dovrebbe prima di tutto staccarsi dal padre, almeno per quanto riguarda la sfera professionale. Di padri ingombranti è piena la storia della F1, ma prima o poi – come nel caso di Hamilton con papà Anthony – arriva il momento di spiccare il volo da soli, senza genitori ai box pronti, al minimo errore, a prodursi in gesti di stizza che, inevitabilmente, ricordano quei giorni lontani in cui ogni sbaglio scatenava una reazione. E non è difficile intuire che la scorza dura di Max deriva proprio dal modo in cui è stato cresciuto.
Ma l’impostazione alla tutto o nulla impartita da papà Jos non può essere superata in un team nel quale ogni reazione di Max, giusta o meno che sia, viene considerata corretta a priori. E allora viene da pensare che, per maturare davvero, Verstappen dovrebbe spiccare il volo lontano da quella scuderia a cui deve tutto, ma che ora lo sta limitando nel percorso di crescita che tutti i piloti, prima o poi devono avere. Non ci aspettiamo che succeda davvero, a maggior ragione se la Red Bull dovesse dare vita a un ciclo vincente. Ma non possiamo fare a meno di chiederci come potrebbe essere Max lontano da Milton Keynes.