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“Ho saputo del mio licenziamento nel momento in cui l’informazione è stata rilasciata alla stampa”: Nikita Mazepin, di nero vestito in un’asettica stanza in quel di Mosca, sembra provato per la fine della sua carriera in F1, mentre rivela per la prima volta le modalità del suo addio alla Haas, consumato in fretta e furia sabato mattina. “Non ero pronto, non sono stato avvisato prima di quanto sarebbe successo. L’ho saputo quando l’avete saputo voi”, dice rivolgendosi in un ottimo inglese alla stampa selezionata che lo ascolta da tutto il mondo.
“Rispettavo molto Gunther, e mi fidavo al 101% di quello che mi diceva. È un team principal, e se dice una cosa, succede. Ma non ho ricevuto informazioni dalla scuderia”. “Sono rimasto profondamente deluso dal modo in cui sono state gestite le cose – aggiunge Nikita -. Ero preoccupato sin dal momento in cui ho lasciato Barcellona, e mi era stato detto che non ci sarebbero stati problemi se la FIA mi avesse concesso di correre e avessi accettato le loro condizioni”.
E Mazepin spiega che era disposto ad accettarle, queste condizioni. Nonostante i rapporti di suo padre Dmitry con il presidente Putin, su cui Nikita glissa abilmente, “volevo correre come atleta neutrale. La sera prima che venissi licenziato la FIA ha inviato un ulteriore documento con altre richieste. Stavamo ancora analizzando le clausole della nuova lettera della FIA, quando ho ricevuto la notizia del mio licenziamento. Non ho avuto tempo per acconsentire. La scadenza era il 9 marzo. Sono stato licenziato il 5 marzo. Se non ho un contratto, non ha senso discutere del secondo accordo”.
“Credo che avrei dovuto ricevere maggior sostegno dal team, perché non c’era alcuna ragione legale che consentisse alla scuderia di rescindere il mio contratto. Sono stato sollevato dal sapere che la FIA avrebbe concesso ai piloti di correre come neutrali, e speravo di poter competere. Ma il 5 marzo tutto è cambiato, e ho perso il sogno per cui ho lavorato per 18 anni”. E Mazepin esclude di forzare, anche dal punto di vista legale, un ritorno al team. "Lascio aperta ogni opzione, ma non voglio tornare in un posto in cui la mia presenza non è gradita. La F1 è uno sport pericoloso, e bisogna avere fiducia nel team con cui si collabora. È una questione di sicurezza, e non riuscirei a fare affidamento nella Haas”.
Nikita non considera la F1 un capitolo chiuso. “Mi manterrò nella forma fisica necessaria per correre, in modo tale da essere pronto a cogliere un’opportunità”. Ma non al di fuori del Circus, almeno per ora. Il presente di Mazepin non è all’insegna delle corse, ma di una fondazione, We compete as one, pensata per tutti gli atleti russi che “si sono preparati per anni, per poi essere puniti solo per via del loro passaporto”, offrendo anche un sostegno legale per chi volesse intraprendere azioni, oltre a un supporto psicologico “per il loro senso di perdita”. La fondazione, spiega Mazepin, aiuterà atleti provenienti da ogni zona di guerra: “Siamo aperti a tutti”, puntualizza Nikita.
L’assonanza con We race as one, lo slogan lanciato dalla F1 nel 2020 per l’uguaglianza, è palese, ma Nikita distoglie l’attenzione da una domanda diretta in merito, ritornando a sottolineare gli obiettivi della fondazione. “Non c’è nessuno che protegge e aiuta gli atleti coinvolti. Voglio essere il primo a farlo”. D’altronde, della sofferenza di una delusione del genere ha esperienza diretta. “È stata una situazione dolorosa, e ci vorrà tempo per metabolizzarla. In Russia non parliamo alle spalle. E visto che nessuno del team ha discusso direttamente con me, non voglio dire nulla alla stampa”. Ma si evince la delusione per il comportamento di Steiner, che riteneva un punto di riferimento schietto.
Non avrebbe potuto immaginare, Nikita, tutto quello che sarebbe successo nell’arco di pochi giorni quando si stava recando al Circuit de Catalunya per l’ultima giornata di test al volante di una Haas VF-22 spogliata dei colori della “sua” Uralkali. “Non vedevo l’ora di arrivare in pista. La monoposto mi sembrava ottima, abbiamo avuto qualche problema tecnico e speravo di girare per prepararmi per il Bahrain. Non mi sarei mai immaginato di poter perdere il posto così velocemente”.
Nonostante il suo licenziamento, Mazepin dice di non nutrire rancore verso il pilota che lo sostituirà alla Haas. “Chiunque sia scelto, spero che faccia un buon lavoro e che sia al sicuro in pista. so quanto è difficile essere un pilota di F1. Il mio primo anno è stato complesso anche dal punto di vista psicologico. Gli auguro il meglio, non hanno nulla a che fare con quello che è successo a me”. Lancia, invece, una stoccatina al compagno di squadra. “Mick non ha detto nulla. In situazioni come questa, si vede il vero volto delle persone”.
Nikita, per il momento, non ha esplorato l’opzione di correre con una licenza di un paese diverso. “Non è questo il problema. La FIA ha dato l’ok ai piloti russi e bielorussi per competere come neutrali, ed è quello che avrei fatto. Per correre mi serve solo un contratto, che non ho”. E il concetto di neutralità torna in auge quando gli viene chiesta un’opinione sul conflitto con l’Ucraina. Rimandando alla sua nota – in cui parlava di “eventi fuori dal suo controllo” – aggiunge: “Credo che tutti abbiano il diritto di essere neutrali, non solo nello sport”.
E la questione politica non è stata affrontata nemmeno con i colleghi – come Charles Leclerc e George Russell – che gli hanno scritto dopo la notizia del licenziamento. “Mi hanno espresso il loro sostegno. Sanno quanto è importante la F1 nelle loro vite, e capiscono ciò che sto provando. Non erano messaggi politici, ma solo personali”. Ma la figura più importante in questo momento resta il padre, Dmitry. "È stato al mio fianco in ogni traguardo raggiunto. E ha sacrificato molto per consentirmi di crescere come atleta e persona e per guidarmi con il suo esempio". Nikita è, prima di tutto, un figlio che vede il padre come un idolo. E in questo Mazepin è simile a Mick Schumacher, che, si scopre in Drive to Survive, aveva a disposizione un telaio nuovo nel 2021.
Il padre di Mazepin, emerge in una puntata della quarta stagione della docuseries, ha minacciato la rescissione del contratto di sponsorizzazione con la Haas nel caso in cui non fosse stato dato un nuovo telaio al figlio. “Non ero pronto per entrare a far parte di un team che aveva deciso di risparmiare denaro nella prima stagione per impiegarlo nella seconda – racconta Nikita -. Uno dei due telai era stato già impiegato nel 2020, e aveva 22 gare alle spalle, e l’altro era nuovo. Guardando alla classifica, non cambia molto essere diciannovesimo o ventesimo, e non avrebbe avuto senso per il team spendere mezzo milione per un nuovo telaio. Ma io ho sacrificato molto per arrivare in F1, e per me è importante ottenere il miglior risultato possibile. Abbiamo avuto dei conflitti, ma con esito positivo. Ed eravamo pronti per una nuova sfida”. Di quelle speranze, in meno di due settimane, sono rimasti solo i cocci. E Nikita dovrà cercare di raccoglierli e ricomporli.