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“Ho sposato la causa della Haas sin dall’inizio, e mi sento assolutamente parte della famiglia. Sarà strano lasciarla al termine dell’anno, ma prima o poi tutto finisce. La Haas vuole assicurarsi i piloti per il prossimo anno abbastanza in fretta, ma ci sono ancora tanti sedili disponibili. È comprensibile e va bene così”. Kevin Magnussen, di fronte ai giornalisti presenti in massa al suo incontro con la stampa all’Hungaroring dopo l’annuncio del divorzio dalla Haas a fine 2024, resta il solito tipo pragmatico.
“Mi sarebbe piaciuto continuare qui? Penso che se fosse andata così sarebbe stato bello vedere i frutti della crescita di questo periodo. Sarebbe stato interessante, ma ci sono altri progetti stimolanti e sedili appetibili disponibili in F1”. Kevin non sembra impaziente, di fronte al “tappo” Sainz: “Carlos sta ancora bloccando tutto, ma le cose si muoveranno prima o poi. La cosa migliore per il momento è focalizzarsi su fare il meglio possibile in pista, in modo tale che possa essere in lizza per i sedili disponibili”.
Che la Haas non volesse più avvalersi dei suoi servigi Magnussen l’ha saputo “al telefono, la settimana scorsa”. Si tratta di una decisione comprensibile, secondo lui? “Non credo che sia sempre necessario capire o essere d’accordo. È la F1, le cose succedono e bisogna andare avanti”. E il danese vuole continuare nel Circus. “Non mi vedo fuori dalle corse a breve. La Formula 1 è la categoria regina del motorsport, ma ho sempre pensato che le altre categorie fossero entusiasmanti allo stesso modo. Finché si ha la possibilità di essere in F1 bisogna restarci. Non è così facile avere una chance, anche se io ne ho avute diverse – ride -. È naturale che tutti vogliano restare qui”.
Quanto alle parole del team principal della Haas, Ayao Komatsu, sulla possibilità di continuare in qualche modo la collaborazione in futuro, Magnussen osserva: “Credo sia stato carino a dirlo. Se non dovessi correre in F1 il prossimo anno potrebbe essere interessante avere un ruolo da consulente. Conosco bene l’ambiente e ho una grande esperienza in F1, sarebbe bene sfruttarla".
In ogni caso, la Haas di cui Kevin aveva sposato la causa nel 2017 è molto diversa da quella di oggi, in senso decisamente positivo. “Quando arrivai pensavo che le cose sarebbero cambiate più in fretta. Debuttarono in F1 con questo modello senza precedenti, e poi non si è evoluta, fino a tempi recenti. Credo che questo team avrà un futuro radioso”. Quanto al suo, di avvenire, Magnussen farà tesoro di una lezione appresa nel 2021, quando correva in IMSA.
“Avevo con un’agenda piuttosto piena – ricorda -. Fu un anno diverso, che mi consentì di capire che c’è vita oltre la F1. Tutta la mia vita, sin da piccolo, si è giocata sull’arrivare in F1, e ci sono rimasto dieci anni. Prima avevo molto timore di perdere la F1, visto che non conoscevo ciò che c’era fuori. Ora non ho paura dell’aldilà”, dice prima di correggersi con una risata, puntualizzando che lasciare la F1 “non è come morire”.
“Spero di ottenere un sedile in F1 – ribadisce - ma se non fosse così credo che mollerei il colpo. Non vorrei essere presente a ogni gara come pilota di riserva, aspettando che qualcuno si rompa una gamba. Non è entusiasmante”. Mentre pensa al futuro, gli scorrono davanti le pagine più belle della sua avventura in Haas, il cui zenit è chiaro. “Nulla batte essere al primo posto. Ci sono giornate positive in cui si coglie un piazzamento tra i primi cinque o un bel po’ di punti, ma non ha il sapore di una pole position. La partenza al palo di Interlagos è stata pure meglio del podio che ho colto alla prima gara in F1".
“Anche tornare in F1 è stato speciale – spiega riferendosi al frettoloso ritorno a sorpresa nel 2022 -. Cinque giorni prima del GP del Bahrain ero in spiaggia a Miami con un margarita in mano, totalmente impreparato. Poi sono arrivato tra i primi cinque. Dopo degli anni difficili per il team, riprendere così è stato fantastico”. Ne è passata di acqua sotto i ponti, da quei giorni turbolenti. E così come la Haas è cambiata, anche Magnussen non è più lo stesso, forte della consapevolezza che c’è davvero vita oltre quella F1 che è stata la sua esistenza intera per una decade.