F1, Luigi Mazzola esclusivo: in Ferrari manca “un Direttore Tecnico che sappia leggere i dati”

F1, Luigi Mazzola esclusivo: in Ferrari manca “un Direttore Tecnico che sappia leggere i dati”
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Noi di Automoto abbiamo intervistato in esclusiva Luigi Mazzola, ingegnere di pista in Ferrari in F1 a contatto con Prost ma anche Schumacher, Mansell e Raikkonen ed abbiamo ripercorso la sua carriera, analizzando la Ferrari di ieri e di oggi
8 aprile 2023

Tanti anni in F1, sia in Gestione Sportiva in Ferrari come Race Engineer che come Direttore Tecnico di Sauber, insieme al contatto con piloti del calibro di Alain Prost, Michael Schumacher, Mansell, Alesi e Raikkonen, fra gli altri, ed una leadership innata: se dovessimo descrivere l’Ingegnere Luigi Mazzola, lo faremmo così. Automoto ha avuto modo di intervistarlo in esclusiva e ripercorrere insieme la sua carriera di allora e di oggi, in un percorso che ha coinvolto la F1 degli anni Novanta ma anche quella di oggi.

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Il sogno realizzato della F1: la carriera di Mazzola in Ferrari e non solo

Siamo partiti dal primo passo: come arrivare in F1 con Ferrari.

“Arrivare in Ferrari era un’esigenza personale, ci credevo moltissimo. Sono sempre stato innamorato di Gilles Villeneuve e sin da ragazzo sognavo di lavorare come ingegnere di F1. Ho studiato Ingegneria Meccanica dapprima a Roma e poi mi sono specializzato a Torino in Costruzioni Automobilistiche, - ci racconta. – Andavo bene ed ero entrato nelle grazie di professori e preside della facoltà. Appena laureato, ero sommerso dalle proposte di lavoro perché avevo il massimo dei voti ma il mio obiettivo era lavorare in Ferrari così mandai la richiesta. All’epoca, Ferrari era molto legata alla facoltà di Torino e sono stato chiamato per un colloquio e nel 1988 ho iniziato a lavorare. Sono stato inviato subito nell’ambito della pista, per un anno mi sono occupato dei calcoli dal punto di vista tecnico e ho preso in mano il disegno perché avevo scritto la tesi sul modello matematico di una monoposto di F1 e nel frattempo andavo in pista e mi costruivo la mia esperienza.”

Lavorare in F1, specialmente in Ferrari negli Anni Novanta, al fianco di Prost ma anche di tantissimi altri campioni deve essere stato emozionante, sia a livello professionale che umano ma eravamo curiosi di sapere cosa lo avesse colpito di più.

“Indubbiamente, lavorare nel 1990 come ingegnere di pista di Prost, tre volte campione del mondo, è stato un grandissimo momento di emozione e nello stesso tempo era un carico di responsabilità non indifferente. All’epoca non c’era il trasferimento di compiti che c’è oggi, dovevi vedertela da solo e crescere ed io dovevo avere a che fare con un pilota del suo calibro: era un sogno. Un’altra grande emozione è stata quando nel 1990 mi avevano mandato in F3 in pista per aiutare un team che aveva difficoltà con quella pista perché non la conosceva. Io ero approdato direttamente in F1, non conoscevo la F3 ed appena arrivai mi trovai davanti il pilota di quel team: era Jacques Villeneuve. Dovetti allontanarmi perché mi commossi: io ero partito con il sogno di arrivare in F1 come ingegnere di pista per Gilles ed ora ero arrivato ad essere in pista con suo figlio.”

Come è cambiato il ruolo dell’ingegnere di pista di F1 dagli Anni Novanta ad oggi?

“L’ingegnere di pista di una volta era molto completo, gestiva tutta la vettura ed il pilota, - ci spiega Mazzola. – In pista si era in pochi. Nel 1990 eravamo una trentina in pista, inclusi cuoco, logistica e addetto stampa. Non c’era la specializzazione particolareggiata che c’è oggi e nel settore tecnico eravamo veramente in pochi e gestivamo tutto: montaggio, affidabilità e performance. C’era anche la T-Car che veniva gestita in modo alternato fra Mansell e Prost e quindi un weekend sì ed uno no avevamo anche quella monoposto di cui occuparci. Ora questo è molto meno, si è suddiviso il lavoro.”

Il suo lavoro in Ferrari ha lasciato un’eredità che si rinnova anche nella F1 odierna.

“Sì, non solo in Ferrari ma tutta la F1 è stata influenzata da quel periodo, in cui formai la Squadra Test praticamente dal nulla. Prendiamo ad esempio Andrea Stella: lo presi dall’università per formarlo ed ora è team principal McLaren. Ci sono state tante persone che ho visto crescere e altre hanno trascorso un periodo in Ferrari migliorandosi ed io, che gestivo quel settore, posso dire che è stato bellissimo prendere parte alla loro crescita e al loro sviluppo.”

Oltre ad avere vissuto il sogno della Ferrari e della F1 come affermato ingegnere di pista, Mazzola ha anche intrapreso un percorso nel mondo della comunicazione, come speaker motivazionale e Performance Coach. La comunicazione è sicuramente diversa dalla tecnica ma cosa è per lui?

“È uno dei tantissimi tasselli del puzzle che completano la mia figura nell’ambito gestionale. Considera che nel 1992, dopo quattro anni in Ferrari, Sauber ha deciso di entrare in F1 e mi ha voluto come direttore tecnico, - ci ha raccontato. - Certo, io sono un tecnico ma stando a contatto con persone come Prost ed altre che definirei eccellenti ho voluto migliorarmi ed aggiungere altre competenze che si integrassero e completassero la mia figura. Sono stato fra i primi a diventare coach quando verso la fine degli Anni Novanta non si sapeva ancora che cosa fosse con corsi e certificazione. Volevo sviluppare le cosiddette Soft Skills per codificare i comportamenti dei piloti e comprenderli ma anche saper guidare le persone verso quelli che sono obiettivi importanti e difficili. La leadership è sempre stata dentro di me, - ci spiega – quello che dovevo studiare era come capire le persone e come comunicare quello che serve: energia e leadership. Ma dove si prendono? Ed ecco che entra in gioco la mia figura: si prendono dalle emozioni, comunicate tramite i valori e dalla passione.”

F1 e Ferrari di oggi

Le emozioni non sono certo mancate nell’ultimo Gran Premio d’Australia, specialmente considerando Ferrari con entrambi i piloti fuori dalla zona punti e la penalizzazione di Sainz nella seconda ripartenza, che è avvenuta da fermi. Decisione piuttosto rischiosa da parte della FIA.

“Io non mi permetto di commentare la scelta di mettere la bandiera rossa, perché bisogna decidere in fretta e farlo tutelando nella maniera più assoluta la sicurezza, - ha commentato Mazzola – quanto quella di ripartire da fermi. Mancavano due giri, le macchine erano scariche di benzina ed i team era ovvio che mettessero su le gomme Soft. Così come era ovvio che i piloti ci avrebbero provato con tutte le loro forze, avevano la preda proprio lì, due soli giri a disposizione. Si sarebbe potuti partire con la rolling start.”

La situazione in Ferrari non è quella sperata, considerando le attese per la nuova stagione alimentate dalla presentazione della SF-23. Cosa cambierebbe?

“Io cambierei innanzitutto la comunicazione per quanto riguarda la presentazione: tu in F1 lotti contro l’”unknown”, l’ignoto, perché vedi solo quello che fai tu e quindi quanto migliori te stesso. Nel 2022, Ferrari è andata benissimo ma bisogna anche considerare che ha lasciato le ultime stagioni per lavorare su quella monoposto mentre gli altri, Red Bull e Mercedes ad esempio, erano in lotta per il Mondiale e non potevano farlo, basti pensare che questi due team nel 2021 sono stati a battagliare fino all’ultimo giro dell’ultima gara, Abu Dhabi 2021, - ha affermato l’ingegnere. – Ora anche gli altri si sono messi al lavoro e vogliono chiaramente vincere anche loro. Tu ad inizio stagione sai quanto sei migliorato tu ma non quanto lo hanno fatto loro quindi sarebbe meglio parlare il meno possibile.”

Chiudiamo la nostra intervista chiedendogli cosa, secondo il suo occhio esperto, mancherebbe oggi in Ferrari.

Manca un Direttore Tecnico che sappia leggere i dati tecnici, - ha detto Mazzola. – Vasseur, appena arrivato in Ferrari lo ha messo in chiaro immediatamente, dicendo: “Io non sono un tecnico”. Ce ne sono due, che però hanno relativamente poca esperienza, considerando gli avversari. Prendiamo Adrian Newey: lui era già in pista nel 1988 e non sono solo le sue idee a renderlo così prezioso ma anche la sua esperienza. In un mondo ideale, ci vorrebbe un Direttore Tecnico che sappia leggere i dati forniti in modo tale da filtrare i rapporti del suo personale, non perché non ci si possa fidare ma per avere una visione d’insieme e per saper gestire il team guardando dall’alto la situazione presente e decidere in quale area dare la priorità se qualcosa non dovesse andare.”

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