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“Ho problemi di salute mentale da una vita. Ho sofferto di depressione a partire da quando avevo 13 anni. Credo fosse dovuta alla pressione legata alle corse e alle difficoltà che attraversavo a scuola. Venivo bullizzato, e non avevo nessuno con cui parlarne”: è un racconto forte, quello che recentemente Lewis Hamilton ha concesso al Sunday Times in un’intervista che ha inevitabilmente fatto il giro del mondo.
Non poteva che essere altrimenti, visto che la salute mentale è purtroppo ancora oggi un tabù per molti. Ma sono proprio le testimonianze come quella di Hamilton a contribuire ad abbattere lo stigma che ancora oggi sussiste su questo tema. Hamilton ha ammesso di aver provato la terapia una volta, ma di non aver trovato il professionista giusto. E ha raccontato di aver cominciato a praticare la meditazione durante la pandemia. “Faticavo a calmare la mia mente all’inizio – ricorda il sette volte campione del mondo di F1 -. Ma è un ottimo modo per fare pace con le mie emozioni e capire cosa posso fare”.
Il suo ex compagno di squadra, Valtteri Bottas, in un’intervista esclusiva concessa ad Automoto.it aveva raccontato di aver sofferto di disturbi alimentari. “La gestione della mia alimentazione e degli allenamenti a un certo punto mi è sfuggita di mano – ci aveva spiegato, aprendosi su un trascorso che per un atleta prima e un uomo poi non è per nulla semplice da rivelare -. Vedere un numero sempre più piccolo sulla bilancia era diventato quasi un’ossessione”.
“Credo sia importante parlare di questi problemi, perché molte persone tendono a non esternarli. Si può sempre imparare dagli errori degli altri; per questo ho deciso di raccontare l'insegnamento che ho tratto dai miei sbagli. Ho capito quali sono i miei limiti. Penso che chiunque stia vivendo un momento di difficoltà, che sia un atleta o meno, debba cercare aiuto. La salute è la cosa più importante, o almeno dovrebbe esserlo”: questa la motivazione per cui Valtteri aveva deciso di parlare apertamente di quello che aveva vissuto.
Per Lando Norris, invece, il problema si chiamava ansia. “Durante la mia prima stagione in F1, poteva sembrare che fossi pieno di sicurezza in me e di entusiasmo, ma non era così – aveva scritto in un post per un blog della McLaren -. Nascondevo il fatto che stavo soffrendo per via dell’ansia. Nonostante fossi arrivato in F1, coronando un sogno che avevo sin da quando avevo cominciato a correre, mi ritrovai a mettere in dubbio le mie capacità”.
“Mi preoccupavo di non avere quello che serviva per farcela, paragonandomi al mio compagno di squadra e ad altri piloti”, aveva aggiunto Norris. “È una situazione difficile da affrontare, e sono sicuro che tanti altri piloti l’hanno vissuta in passato. Ma siccome nello sport nessuno vuole mostrare le proprie debolezze, per paura che gli avversari ne approfittino, non si parla abbastanza di salute mentale. E dovremmo davvero farlo”.
Non tutti i piloti sono concordi sulla necessità di aprirsi su certe tematiche. Max Verstappen, per fare un esempio, ha un approccio vecchia scuola. “Perché mostrare i propri lati deboli agli avversari?”, si era chiesto a domanda in merito alla salute mentale. Viene da pensare che il suo vissuto lo renda poco incline a mostrarsi vulnerabile, ma si sbaglia. Testimonianze come quelle di Hamilton, Bottas e Norris sono preziosissime, perché dimostrano che i problemi di salute mentale non guardano in faccia a nessuno, ricco, di successo o meno che sia. E che chiedere aiuto è il primo passo per cambiare la propria vita.