F1. Jo Ramirez: "Vedrei bene Newey in Ferrari. Tutti vogliono andare a Maranello, anche Ayrton Senna, ed Hamilton ci è riuscito"

F1. Jo Ramirez: "Vedrei bene Newey in Ferrari. Tutti vogliono andare a Maranello, anche Ayrton Senna, ed Hamilton ci è riuscito"
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Jo Ramirez, a 83 anni ancora nei paddock di Formula 1, ricorda Ayrton Senna e l'epoca d'oro sul Circus. Su Adrian Newey, con cui ha lavorato in McLaren, ci dice che lo vedrebbe bene in Ferrari e....
22 agosto 2024

Il 20 agosto Jo Ramirez ha compiuto 83 anni e, a vederlo ciondolare nel paddock di un Gran Premio, quegli anni non sembrano proprio calzargli addosso. Allegro, simpatico, disponibile con tutti, ricorda il passato senza dimenticare aneddoti, storie e avere una visione completa di cosa succede oggi. La passione per la F.1 è di vecchia data, da quando giovane meccanico seguì Ricardo Rodriguez nel circus fino a quel tragico GP del Messico, in cui il giovane pilota messicano morì uscendo di pista nel tentativo di migliorare sempre più i suoi tempi. A quel tempo per uno straniero la Ferrari era un ambiente stretto. Infatti, morto Rodriguez non c’era posto per lui. Dopo una breve parentesi in altra azienda, prese la sua Fiat 500, caricò le valigie sul cofano e partì direzione Inghilterra, dove trovò lavoro e fortuna, culminata nei trionfi alla McLaren sotto la guida di Ron Dennis.

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Da quel momento per Jo Ramirez la F.1 non è stata più una passione, ma un lavoro a tempo pieno, fino ai trionfi con la McLaren di Senna, Prost, Hakkinen e via di questo passo. Oggi, 83 anni compiuti, con la moglie si ferma in un angolo e parla del passato: “Certo, se guardo alla mia vita, sono stato davvero fortunato, è stata incredibile – inizia a raccontare - ho lavorato coi più grandi campioni di ogni epoca, ho vissuto momenti incredibili e trionfi unici, ma anche dolorosi come la morte di Ayrton Senna. Anzi, proprio parlando del brasiliano, sono rimasto stupito di come la gente, 30 anni dopo la sua scomparsa, lo ricordi ancora con affetto. Sono stato a Torino a vedere la mostra al Mauto, organizzata anche da Carlo Cavicchi che mi ha invitato. Una cosa stupenda, da pelle d’oca ricordando quei giorni”.

Perché Senna viene ancora ricordato così? Tu che eri al suo fianco puoi provare a spiegarlo?
Aveva una aurea incredibile. Appena entrava in una casa oppure passeggiava nel paddock, si fermavano tutti. Poteva passare Piquet, Mansell, Prost, la gente non ci faceva caso. Arrivava Ayrton, e si fermavano tutti urlando è Ayrton, è Ayrton. Una cosa incredibile. Emanava qualcosa di speciale come persona, sono convinto che qualsiasi cosa avesse fatto, sarebbe stato un vincente. Non solo nelle corse, ma nella vita di tutti i giorni. La sua attenzione maniacale al dettaglio, la cura che metteva in ogni cosa. Senna aveva qualcosa in più, forse la ricerca della perfezione, il modo in cui si coinvolgeva nel suo lavoro, il modo in cui si applicava era unico. Dopo di lui solo Alonso e Schumacher hanno preso qualcosa da Senna nel modo di lavorare, restavano fino a mezzanotte a discutere della macchina, degli assetti, curva per curva. Ma Ayrton aveva una personalità unica. Tutti noi che abbiamo lavorato con lui abbiamo imparato qualcosa di unico, non so spiegarlo, ma era un apprendimento ogni istante al suo fianco”.

Anche nel momento in cui eri in mezzo al duello fra Senna e Prost, eri il team manager, come hai vissuto quei momenti di lotta estrema nella stessa squadra? “Per me era più facile perché non ero quello che firmava i contratti coi due piloti e facevo di tutto per farli contenti quando mi chiedevano qualcosa. Era un problema di Ron Dennis e i due litigavano con lui. Non era facile da gestire la situazione perché erano i due migliori piloti al mondo. Nell’88 abbiamo vinto 15 gare, 7 uno e 8 l’altro, era impressionante quello che fummo in grado di fare e stare in quella squadra, la McLaren dell’epoca, è stato davvero unico”.

Poi sono arrivati i mondiali di Hakkinen, con un sapore diverso, poi hai detto basta, hai staccato con il lavoro in McLaren ma ti è rimasta la passione…“Ma io non ho mai lavorato in vita mia: la F.1 era il mio hobby e mi hanno pure pagato per farlo! Sono ovviamente contento, ma arriva un momento in cui è meglio lasciare e capirlo da soli invece che aspettare qualcuno che ti dia una pacca sulla spalla e ti chieda quando te ne vai…La F.1 è così, per cui ho capito che era arrivato il tempo di staccare e ho lasciato tutto”.

A Città del Messico il tuo nome compare nella hall of fame dei messicani più importanti nel motorsport, una grande soddisfazione direi se non fosse che Sergio Perez forse ha vinto qualcosa più di te… Scherziamo ovviamente! “Guarda, io sono stato insieme a Carlos Slim l’artefice dell’arrivo di Perez in F.1, volevamo un pilota messicano in F.1 e direi che Perez ha raggiunto lo scopo, perché è nel miglior team, però ha un compagno di squadra, Verstappen, che è un fenomeno. Qualsiasi cosa faccia Perez, Verstappen la fa meglio, quindi confrontarsi con uno così diventa difficile, è micidiale. Però ha un contratto da seconda guida e deve fare la spalla a Verstappen e questo lo sta facendo al meglio, non deve pensare a fare di più. Quest’anno la Red Bull sta faticando molto di più per lottare con gli altri e Perez sta faticando di più”.

E pensare che avevi iniziato la tua carriera alla Ferrari con Rodriguez, più di 60 anni fa. Adesso chi vedresti bene alla Ferrari?
Vedrei bene Adrian Newey, se c’è lui, vanno bene tutti i piloti. Io ho lavorato parecchi anni con lui alla McLaren e sa veramente cosa ha bisogno una macchina da corsa per farla andare forte, è bravissimo. Ha le idee e sa metterle in pratica. Mi auguro davvero che arrivi a Maranello. Così come penso sia stupendo, per un pilota come Hamilton, andare alla Ferrari, perché la squadra di Maranello è l’anello di congiunzione che ti fa diventare immortale nel mondo delle corse. Io sono sicuro che anche Ayrton avrebbe voluto finire la carriera alla Ferrari. Era uno degli argomenti che trattavamo quando eravamo in fase di rinnovo. Lui diceva sempre: ho vinto campionati e corse con la McLaren, non voglio che la gente dica che ho vinto solo con McLaren. Voglio vincere con altre macchine, mi diceva, e faceva l’esempio di Fangio che aveva vinto 5 campionati con 4 macchine diverse. Era quello che voleva fare anche Ayrton. Lo ha fatto Hamilton e mi auguro vinca per dimostrare quanto è grande”.

Tornerai in Italia a breve? “Beh, visto che vivo in Spagna ci vengo spesso, vorrei tornare a Torino a vedere la mostra su Ayrton perché è stata eccezionale. All’inaugurazione ho partecipato al talk con Pino Allievi, Riccardo Patrese, Cavicchi, tutti i grandi di ieri. Mi piace come è stato ricordato, ma ripeto quanto detto prima: era il modo come si muoveva dentro e fuori la macchina a fare la differenza, era una persona incredibile e lo dimostra che 30 anni dopo la gente si emoziona ancora per lui, come se fosse ancora qui con noi e questo dimostra quanto fosse grande e unico”.

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