F1, Ivan Capelli: pilota al posto giusto, nel momento sbagliato (Ferrari F92A)

F1, Ivan Capelli: pilota al posto giusto, nel momento sbagliato (Ferrari F92A)
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La carriera da pilota di Ivan Capelli, oggi commentatore TV per la F1, si può riassumere con una frase: al posto giusto, ma nel momento sbagliato. Ecco la sua storia in quegli anni drammatici alla Ferrari | <i>P. Ciccarone</i>
17 febbraio 2015

Adesso che fa il telecronista molti si chiedono come abbia fatto a raggiungere una posizione simile. Poi magari qualcuno, specie fra i più giovani, scopre che è stato pure un pilota, ma non va oltre. E allora proviamo a raccontare l’attuale presidente AC Milano, Ivan Capelli, nelle vesti di pilota di F.1. La sua storia si può riassumere con una frase: al posto giusto, ma nel momento sbagliato. Si può riassumere così l’esperienza di Ivan Capelli al volante della Ferrari. Il posto giusto, Maranello, era quello inseguito fin dal giorno del debutto a Brands Hatch al volante della Tyrrell nel 1985, e che per un motivo o per l’altro si sottraeva all’abbraccio del pilota milanese. Il momento, sbagliato, era quello della Ferrari F92A, ovvero il più basso toccato nella storia della squadra italiana. Ad esclusione dell’anno scorso a dire il vero… 

1991: l'avventura in Ferrari

Di anno in anno, di gara in gara, il miraggio della Ferrari restava sempre lì come una sorta di sogno incompiuto fino a quando non arrivò la chiamata a fine 1991. Alain Prost era stato scaricato senza tanti complimenti dalla direzione Ferrari. Cesare Fiorio non c’era più, ma al suo posto l’ingegner Claudio Lombardi voleva proseguire la tradizione del Made in Italy a Maranello. E poi un pilota italiano al posto del campionissimo francese serviva per tacitare le polemiche sul mancato ingaggio di Ayrton Senna, l’unico che potesse risollevare la baracca Ferrari, caduta in un precipizio fondo e buio. Ivan Capelli si trovò suo malgrado ad affrontare questo periodo di transizione cercando di lavorare con onestà. E non si sa se fu una fortuna o meno visto che un altro italiano, Pierluigi Martini, aveva già un contratto firmato ma fu poi girato alla Scuderia Italia invece che alla Ferrari.

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Ivan Capelli e Jean Alesi insieme alla sfortunatissima Ferrari F92A

 

A Maranello, quell’anno, era arrivato il nuovo presidente, Luca di Montezemolo, che a inizio stagione, alla presentazione della F92A, si fece scappare una previsione che realizzò soltanto otto anni dopo: “Da oggi a Maranello torna a splendere il sole, come il sole sta facendo adesso capolino fra le nubi che hanno oscurato il nostro cielo. Sono fiducioso per il futuro e nei nostri piloti”. Nove mesi dopo quella fiducia era già morta e sepolta sotto un elenco incredibile di errori tecnici e di gestione. L’ingegner Claudio Lombardi aveva una grossa esperienza tecnica nei rally, conosceva perfettamente come funzionava una macchina da corsa, ma non conosceva niente delle logiche politiche di Maranello. E fu così che Ivan Capelli, salendo per la prima volta sulla F92A capì che sarebbe stata dura.

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Ivan nel periodo alla Leyton House

Capelli critica la F92A. E' l'inizio della sua fine

Decise di affrontare l’esperienza mettendo in campo la sua onestà e la sua sincerità. Fu uno sbaglio. Perché se da un lato Jean Alesi, il secondo pilota Ferrari dell’epoca, diceva nei test invernali che la macchina, col famoso doppio fondo ideato da Jean Claude Migeot, era una bomba, Ivan si lamentava del fatto che fosse instabile e che il comportamento cambiava a seconda delle curve. A Maranello, con la pressione politica dell’epoca, adottarono subito Alesi e misero da parte Capelli. Fino a quando si lamentava della macchina, l’ingegner Lombardi era pronto ad appoggiare le richieste di Ivan. Quando toccò anche al motore finire sul banco degli accusati, Ivan si ritrovò da solo. I risultati in corsa gli diedero ragione, ma la sensazione, dopo la prima gara, era che mentre uno si impegnava e tirava fuori il massimo, l’altro non spingeva sull’acceleratore solo per dare ragione a una fazione interna della Ferrari.

Ivan era un uomo distrutto alla ricerca di se stesso prima che del limite della monoposto

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E fu così che, dopo un avvio disastroso in Sud Africa, in Brasile Ivan si accontentò di un misero quinto posto, ma contro le Williams con le sospensioni attive e le McLaren, nonché le Benetton in crescita, era il massimo che si potesse portare a casa. La stagione proseguì con un record di uscite di pista: furono sei quell’anno. Su un totale di 17 incidenti in 93 GP, si capisce come in quel 1992 la media fu particolarmente alta. I momenti più neri furono due: a Montecarlo, alla staccata della Rascasse, Capelli finì in testacoda e si arrampicò sul guard rail, lasciando la Ferrari in bilico. In Canada, pochi giorni dopo, accadde di peggio, nel senso che se a Monaco Ivan non si fece un graffio, nella veloce chicane opposta ai box di Montreal, Capelli urtò con violenza il casco contro il muro di cemento esterno.

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Il rapporto tra le Ferrari e Capelli si deteriorò nel giro di pochissimo tempo. E la colpa era della macchina
 

Maranello e Capelli sempre più lontani

La sua rossa saltò sul cordolo, si mise a coltello e andò a sbattere contro le protezioni. Per Ivan fu una botta terribile: lui tirava al massimo, ma a causa dell’instabilità della F92A, il cui doppio fondo funzionava a tratti e non sempre in modo costante, finiva col prendersi dei rischi eccessivi, uscendo spesso di strada. In quell’uscita di pista Capelli intuì che la sua strada alla Ferrari era praticamente chiusa. Infatti, i meccanici gli chiesero scusa per aver montato al contrario una barra di torsione che nelle curve a destra andava al contrario di quanto doveva, mentre ufficialmente a Maranello c’era un gelo totale nei confronti di Ivan. Nei giorni successivi all’incidente cominciò a circolare la voce che le condizioni di salute di Capelli non fossero ottimali, che la vista (Ivan portava le lenti a contatto) non fosse in ordine, che il colpo di frusta avesse reso Capelli incapace di disputare il GP successivo. Stringendo i denti, lottando e discutendo con una dirigenza che cambiava praticamente ogni mese, Ivan affrontò la parte centrale della stagione con una sorta di rassegnazione.

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Ferrari viene messo alla porta dalla Ferrari di Montezemolo senza diritto di replica

 

Ormai aveva capito di non avere più sponde, che il credito con cui fu accolto a Maranello da salvatore della patria, si era dissolto strada facendo. Il pilota deciso, capace di stare al comando dei GP di Francia (90) e Portogallo (88) con una misera Leyton House, si era perso per strada. Ivan era un uomo distrutto alla ricerca di se stesso prima che del limite della monoposto. In Ungheria ci fu un ultimo sprazzo, un sesto posto che faceva ben sperare per Monza, gara di casa. Invece anche qui le due rosse di Alesi e Capelli si fermarono subito. Ma almeno in quei pochi giri furono vicini al gruppo di testa. La situazione però precipita in maniera improvvisa in Portogallo. Un altro ritiro, ma stavolta la dirigenza della Ferrari ha pronta la soluzione del contratto. Il martedì dopo la gara per Capelli è terribile.

Ferrari mette alla porta Capelli

Viene convocato a Maranello. Si presenta di buon’ora all’ufficio di Montezemolo, ma il presidente è in riunione, l’ingegner Lombardi non si sa dove sia, anche perché sta per lasciare a sua volta la Ferrari e da qualche tempo è di fatto esonerato. Sarà l’addetto stampa dell’epoca, il giornalista Giancarlo Baccini, ad accogliere Ivan nel suo ufficio. Gli mette sotto il naso un foglio col comunicato in cui la Ferrari annuncia l’appiedamento di Ivan e l’arrivo di Nicola Larini per le ultime due corse della stagione, con lo scopo di collaudare le sospensioni attive. Capelli resta perplesso, chiede di parlare col proprio manager o almeno con l’avvocato, anche perché ci sono dei pagamenti in sospeso. La risposta fu secca: “fai come ti pare, questo comunicato lo abbiamo già trasmesso all’Ansa”. 

La carriera di Ivan nei primi anni, con una March verde ramarro colorata coi soldi di Akagi, sembrava promettente e ricca di soddisfazioni. Prima del baratro Ferrari

 

La colpa di Ivan? Secondo la Ferrari, dopo aver ispezionato la vettura usata nel GP del Portogallo, fu che Capelli si ritirò pretenziosamente dalla gara visto che la  monoposto era in ordine e non presentava problemi di sorta. Quindi, fu una grave inadempienza da parte del pilota, da qui la risoluzione del contratto. Capelli tornò a Milano chiedendosi il perché e la domanda lo ha accompagnato per anni. Al punto che nella stagione 93, dopo la prima gara con la Jordan, ci fu un’altra uscita di pista. E la fine della carriera come pilota di F.1. Una carriera che nei primi anni, con una March verde ramarro colorata coi soldi di Akagi, un miliardario giapponese, sembrava promettente e ricca di soddisfazioni. Prima del baratro Ferrari.

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