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Incredibilmente sofferto e per questo infinitamente prezioso, il quarto titolo colto da Max Verstappen nel Gran Premio di Las Vegas 2024 di Formula 1 è tutto suo. Se l’è preso navigando nelle turbolente acque di una scuderia che sembrava una nave pronta a colare a picco, con correnti avverse interne cui hanno fatto seguito le fragilità di una monoposto che ha spremuto in ogni modo, accontentandosi delle briciole quando non poteva fare altrimenti. L’ha vinto capitalizzando su un avvio di stagione straordinario, stupendo però molto di più quando la monoposto ha cominciato a tradirlo.
Verstappen è il miglior interprete di quest’epoca della Formula 1, un pilota straordinario che ha finalmente potuto dimostrare le sue qualità, se ancora qualcuno avesse nutrito dei dubbi a riguardo. Nel regno dell’eccesso di Las Vegas, Verstappen ha messo le mani sul titolo con una prestazione misurata, tirando fuori il meglio da una vettura la cui ala posteriore riprofilata in extremis è una buona rappresentazione delle limitazioni che hanno piegato Max, ma non l’hanno mai spezzato. È nell’anno più buio che Verstappen ha dimostrato davvero di che pasta è fatto, ancora più del 2021.
A rubare la scena a Verstappen nell’algida Las Vegas è stata la Mercedes, rimasta anche sulla lunghezza di gara nello stato di grazia in cui si trovava sin dall’inizio delle libere. La capricciosa W15 sul ghiaccio nero dell’asfalto si è fatta docile, malleabile nelle mani dei due piloti. E la capacità di accendere le gomme alla perfezione in queste circostanze ha fatto sì che la monoposto potesse essere fulminea sia con le medie che con le hard, mantenendo però l’equilibrio necessario a non strapazzare le coperture ed evitare così il graining.
Che la Mercedes oggi fosse su un altro pianeta in questo senso lo dimostra lo stint conclusivo con le hard di Lewis Hamilton, capace di inanellare una sequela di giri veloci per aggrapparsi alla possibilità di andare a prendere George Russell, rimasto indisturbato al comando dopo un’ottima partenza. Se non fosse stato per gli errori in qualifica commessi ieri, Hamilton oggi avrebbe potuto dominare la corsa. Ma in quella progressione incredibile mentre la corsa volgeva al termine si è rivisto il miglior Hamilton, il pilota che prende a morsi la pista per spingersi verso l’impossibile.
Il graining aperto alla fine dello stint ha fatto capire quanto Hamilton abbia osato, ma in fin dei conti non c’era nessuno che potesse approfittarne. Se l’economia della gara della Ferrari avesse preso una piega diversa, forse Lewis avrebbe potuto perdere il secondo posto, ma la lotta interna tra Carlos Sainz e Charles Leclerc si è mossa su dei piani che si sono rivelati controproducenti per la scuderia di Maranello. Il problema, in fondo, resta sempre lo stesso. Sainz pensa alla sua gara, e non necessariamente al bene di un team che si sta giocando il mondiale Costruttori.
L’avvicendamento di posizione con Leclerc ritardato per non perdere terreno anche su Hamilton, lo zig-zag all’ingresso della pitlane con la chiamata all’ultimo per restare fuori, il sorpasso su Leclerc quando gli era stato comunicato di restare alle spalle del compagno: sono segni di un egoismo da parte di Sainz che da un lato è sano, ma dall’altro è controproducente pure per lui. Il pasticcio ai box, dopotutto, gli è costato il distacco che a fine gara gli ha impedito di poter sferrare un attacco a Hamilton ormai in ambasce con le gomme.
Leclerc via radio è stato decisamente meno misurato del solito, sfogando tutta la sua frustrazione per il compagno di squadra. Ma la corsa di Charles è stata complicata fin dai primi giri, in cui era necessario trovare la risposta a un dilemma che è ormai materia della F1 di oggi. Meglio cercare a tutti i costi di prendersi di forza il vantaggio di posizione in pista oppure cercare di introdurre dolcemente le gomme per evitare che si formi il graining? La risposta, a ben vedere, dipende dalla rapidità di azione.
Essere davanti, senza aria sporca, costituisce un vantaggio cruciale, e tirare una zampata aggressiva a inizio gara può fare la differenza. Ma bastano un paio di giri incollati a chi si insegue per pregiudicare un intero stint, e forse la corsa stessa. In quel frangente, l’approccio più convincente è stato quello di Verstappen, che si è tenuto nei primissimi giri per poi cercare l’attacco su chi, invece, aveva avuto un’introduzione più aggressiva della gomma. Sono strategie e stili di guida che diventano fondamentali in una Formula 1 che non è in ogni caso simile alle corse di durata, ma che invece richiede una lucidità e una precisione di risposta sempre più elevate, con valori in campo così ravvicinati. Non sarà forse emozionante come vedere piloti spingere al massimo, ma questa sofisticazione resta comunque affascinante.
A proposito di graining, come da previsioni della vigilia la McLaren ne ha molto sofferto, soprattutto nello stint iniziale con le medie, la mescola usata in gara più esposta al fenomeno. Non si tratta assolutamente di una sorpresa, non tanto per i long run del giovedì di libere, quanto per il precedente di Monza. A complicare le cose ha pensato un altro pasticcio di Oscar Piastri, una penalità di cinque secondi per falsa partenza. Con un sesto e un settimo posto – e il giro più veloce colto da Lando Norris a fine gara – la McLaren su una pista ostica su cui non ha potuto nemmeno contare sul famigerato "mini-DRS" contiene i danni in vista del Qatar, appuntamento in cui i valori in campo con la Ferrari dovrebbero rovesciarsi a favore del team di Woking.
Solo il tempo ci dirà se le speranze mondiali della Ferrari – ora staccata di 24 lunghezze dalla McLaren – si tradurranno nel primo titolo dopo sedici anni di digiuno. Ma se c’è qualcosa che abbiamo imparato dalla quarta iride di Max Verstappen, è che i titoli migliori sono quelli sofferti, colti brillando nonostante le circostanze. E se la Rossa dovesse davvero riuscire nell’impresa di riportare l’iride a Maranello, si tratterebbe di un titolo prezioso come quello colto oggi da Max, più forte della sua macchina capricciosa e delle circostanze.