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Per la prima volta nella storia della Formula 1, la stagione 2024 è partita senza nessun debuttante sullo schieramento. Questa non è una F1 per rookie, verrebbe da dire, e da un certo punto di vista è vero. Con un numero di giornate di test sempre più ridotto, prepararsi all’esordio nella massima categoria è un esercizio molto più complesso di quanto non lo fosse ai tempi del debutto di Lewis Hamilton. Poi, però, arriva Oliver Bearman sulla Ferrari a scardinare non tanto la convinzione di quanto sia difficile debuttare quanto quella dei team di puntare sull’usato sicuro.
Di fronte a una prestazione come quella offerta da Bearman nel Gran Premio dell’Arabia Saudita, riesce difficile pensare a una giustificazione alla continuata presenza in pista di piloti che, per quanto stanno mostrando, sembrano aver detto tutto quello che avevano da dire nella loro carriera nel Circus. Volete i nomi? Siamo disposti a farveli: per quanto stiamo vedendo in questo inizio 2024, Daniel Ricciardo e Valtteri Bottas non dimostrano di meritare un sedile. Entrambi quest’anno compiranno 35 anni, ma la questione anagrafica è secondaria.
Fernando Alonso continua a dimostrare che, per chi ha un talento sconfinato e una volontà di ferro, superare i 40 correndo in F1 con merito è possibile. Dopotutto, i piloti di oggi sono degli atleti, e con una buona dose di sacrifici si può lottare contro il tempo. Casi come quello di Fernando, però, sono limite. E soprattutto sono circostanziati a eccellenze di questo sport, meritevoli di un posto nonostante il passare degli anni.
Bottas, per quanto sia stato solido nel suo periodo in Mercedes, non è mai stato tra i piloti top in F1, esitante com’è sempre stato nel corpo a corpo. Ricciardo a nostro avviso è stato il migliore nel 2016, e in quel periodo avrebbe vinto un mondiale se avesse avuto la macchina giusta. Ma la sua scarsa capacità di adattamento non lo rende abbastanza versatile da essere un campione completo. E per quanto siano dei personaggi carismatici fuori dalla pista, oggi sono il fantasma di quello che sono stati un tempo.
Ma ci sono anche piloti molto più giovani di loro a lasciare perplessi. Guanyu Zhou sembra essersi plafonato nel suo percorso di crescita, come se avesse incontrato un tetto di cristallo che non riesce a rompere. E le sue esitazioni, unite a quelle di Bottas, riescono anche difficile capire quale sia il vero potenziale della Sauber C44. Non stiamo parlando di una monoposto schiacciasassi, ovviamente, ma chi ci dice che qualcun altro non farebbe meglio al loro posto? Altrove, Logan Sargeant non avrebbe francamente meritato una seconda chance, e le sue prestazioni non fanno altro che supportare questa tesi.
Non tiriamo fuori il caso di Lance Stroll semplicemente perché i piloti paganti – o similia – in Formula 1 ci sono sempre stati, che piaccia o meno. Se la sua presenza è parte dei meccanismi che da sempre fanno funzionare il Circus, quella di altri piloti sconcerta. Davvero non vale la pena tentare una nuova strada, anche se gli errori di un rookie possono essere costosi? Bearman ha dimostrato, nel caso in cui ce ne fosse bisogno, che chi ha davvero talento lo può mostrare in circostanze sfavorevoli.
Certo, i rookie sono destinati a sbagliare, e questo va messo in conto. Così come per una scuderia minore coltivarsi in casa un giovane talento non serve a nulla, perché certe stelle sono destinate a fare fortuna altrove. È altrettanto vero che dopo qualche anno di stasi, nelle categorie minori stanno sbocciando talenti che meritano di rompere lo status quo. Sta crescendo una leva di piloti – che comprende Bearman, ma anche il nostro Kimi Antonelli – destinati a prendersi il palcoscenico, comunque vadano le cose. Ma è ormai evidente che in Formula 1 serva un cambio della guardia. E il debutto di Bearman ha dimostrato una volta per tutte che la F1 di oggi non sarà per rookie, ma chi ha davvero i numeri giusti è in grado di emergere comunque. A patto che gli venga data una chance.