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Li chiamano con fare sprezzante i tifosi di Netflix, i nuovi appassionati che hanno imparato a conoscere la Formula 1 con Drive to Survive, romanzato prodotto televisivo che si concede qualche libertà nel raccontare il Circus, ma ha saputo far presa su un pubblico nuovo. Fernando Alonso, in un’intervista concessa a The Race, qualche mese fa li ha paragonati ai tifosi di calcio, interessati solo a seguire i risultati, senza approfondire più di tanto i motivi per cui una scuderia o un pilota si impongono sulla concorrenza.
Alonso, pur con il suo fare eccessivamente burbero, una cosa vera l’ha sottolineata. I tifosi che si sono appassionati da poco alla Formula 1 non riescono ancora a cogliere alcuni aspetti di uno sport sfaccettato, che si presta a vari livelli di lettura. Oltre all’ovvio, la fiera competizione in pista, si nascondono intricati intrighi politici, una sofisticazione tecnica che è parte integrante della sfida e le storie complesse degli uomini che si celano dietro ai piloti. Capire l’essenza della F1 è come scoprire uno per uno gli strati di un pianeta sconosciuto, arrivando a un nucleo, diverso per ciascun appassionato, che costituisce il vero carburante della passione.
Ma è davvero necessario andare così a fondo per apprezzare il prodotto Formula 1? A nostro avviso, no. Banalizzando all’estremo il concetto, si può godere dello spettacolo F1 anche solo guardando girare le monoposto in tondo la domenica pomeriggio. Al netto di questo, da qualche parte bisogna pure cominciare. Per la generazione di ex bambini cresciuti all’epoca delle imprese della Ferrari di Michael Schumacher trasmesse in chiaro in TV, il battesimo con la F1 coinciderà con domeniche lontane nel tempo trascorse su divani che non ci sono più in compagnia di papà, mamme, nonni o fratelli più grandi, rapiti da qualcosa che non si riusciva ancora a comprendere, ma affascinava comunque. Oggi, nel regno della pay-per-view, alla F1 ci si avvicina per vie traverse, come Netflix.
La F1, da sport di nicchia, sta diventando pop. E da fenomeno europeo, sta prendendo un respiro internazionale. Lo dimostra, tanto per fare un esempio, la presenza di Lewis Hamilton sulla copertina di settembre di Vanity Fair USA, la più importante dell’anno. Checché ne pensino i puristi, il fatto che la F1 stia attirando l’attenzione dei media generalisti è un bene per assicurare un futuro florido alla categoria, e a chi ci lavora. La F1, come tutti gli sport, deve evolvere per sopravvivere in un mondo in continuo cambiamento. Ma non tutti la vedono in questo modo. E si nota molto bene nelle infinite discussioni sui social.
I tifosi di vecchia data si danno molto spesso a quello che gli inglesi chiamano gatekeeping, cioè la volontà di restringere l’accesso a una passione considerata di nicchia. Il primo argomento a favore di qualsiasi tesi sulla F1 è rappresentato invariabilmente dal numero di anni da cui si segue la categoria. È come se volessero sottolineare gli sforzi che sentono di aver profuso per fregiarsi del titolo di fan della F1, spulciando dati tecnici e raffinatezze da nerd. La dura verità, però, è che non necessariamente seguire la F1 da secoli implica una profonda conoscenza dell’argomento.
L’effetto Dunning-Kruger, che spinge chi ha limitate conoscenze di una materia a credere di saperne tutto, è sempre dietro l’angolo per chi si avvicina alla F1. Solo approfondendo davvero ci si rende conto che anche gli esperti hanno sempre qualcosa da imparare. Chi segue la F1 da molto tempo, a ben vedere, potrebbe essere arroccato sulle stesse posizioni di anni fa, senza essere disposto ad andare oltre. Proprio come potrebbe accadere a chi, invece, sta imparando oggi a conoscere questo mondo.
La verità è che bisogna destare curiosità. E questo è un compito che noi giornalisti dovremmo essere in grado di portare a termine. Sforzarsi di vedere la F1 con la prospettiva fresca e gli occhi sorpresi di chi la scopre per la prima volta ci può far tornare là dove tutto è iniziato anche per noi. A quei divani lontani nel tempo e forse anche nello spazio su cui abbiamo assistito a uno spettacolo seducente, inaspettato. Perché da qualche parte bisogna sempre pure cominciare. E quello che conta davvero non è la scintilla, ma il carburante con cui la passione si alimenta nel tempo.