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Sperduto nella parte asiatica di Istanbul. Queste le uniche indicazioni per raggiungere il nuovo circuito che avrebbe ospitato il primo GP di Turchia. Sconosciuto ai tour operators, sconosciuto ai locali e ai tassisti. Una sorta di incubo, insomma. Negli anni del GP di Turchia, trovare alloggio nei pressi del circuito si è rivelata impresa ardua. La prima volta ci ha pensato una agenzia di Modena che aveva un accordo di collaborazione con un gruppo locale che metteva a disposizione pure le navette per andare e tornare dalla pista. Ottimo, si dirà. Se non fosse che a Pendik, la cittadina dove era ubicato l'hotel, attorno alla dimora non c'era assolutamente niente. Zero, aperta campagna. E le navette partivano alle 5 e mezza del mattino per le sessioni che partivano alle 10. E il tutto per fare 30 km che col traffico diventavano una incognita.
"Stavolta non ci freghi" fu l'opinione unanime della stampa italiana e così l'anno dopo hotel in centro a Istanbul, dalle parti della moschea di Galata. Un po' fuori mano ma col vantaggio di non doversi svegliare alle 4 del mattino (e tornare alle 10 di sera come da orari delle navette obbligatorie) e di essere vicino alle mura di Costantino e quindi a pochi chilometri dall'autostrada che avrebbe portato diritto all'uscita dell'autodromo: 75 km più in là. Il problema? Il traffico di Istanbul, il ponte sul Bosforo perennemente intasato al pagamento del pedaggio (che senza una apposita carta non potevi pagare nè in contanti nè con carta di credito internazionale) e conseguenti code in attesa di trova un automobilista che prestandoti la sua di carta, ti facesse accedere alla parte asiatica del continente. Oppure, ultima alternativa, fare l'altro ponte molto più a nord, sulla autostrada 80, ma senza la coda sul Bosforo del ponte tradizionale.
Un delirio, fatto di due o tre ore di auto, in mezzo a un traffico impazzito e con risvolti a tratti drammatici, come quando una sera, tornando in hotel, un mezzo pesante si era rovesciato e camion e auto procedevano in senso di marcia contrario, per cui in autostrada, 10 km prima di arrivare a Istanbul, era tutto uno schivare camion, moto e auto impazzite che imboccavano gli svincoli contromano, saltavano sugli spartitraffico, restando a volte bloccati e con altre code. E così, per evitare trappole, trovarsi in crisi sull'asfalto liscio e viscido (si pattinava pure con l'asciutto, non solo in autodromo in questi giorni), presi dallo scoramento, rivolgemmo un ultimatum all'agenzia: trova un hotel vicino all'aeroporto che dista poco dal circuito. E così fu. Tutto bene? Affatto. Perché l'aeroporto vicino al circuito è quello dei charter di Sabiha Gokcen, mentre l'agenzia prenotò al Novotel Ataturk, ovvero dalla parte opposta non solo dell'autodromo ma anche della città... Un disastro totale, fatto di altre lunghe ore di viaggi da un lato all'altro, un centinaio di km andare e altri a tornare, visto che per evitare il ponte sul Bosforo si prendeva il secondo ponte più a nord.
Un incubo totale che però aveva un vantaggio: quello di fare comunella in autodromo. Infatti, essendo nel mezzo del nulla, fra case in costruzione e pascoli di pecore e mucche, conveniva restare in pista, almeno c'erano i motor home, un pasto sicuro, dei passatempo. Come giocare a biliardino con Gunther Steiner, all'epoca alla Red Bull con i piloti Liuzzi e Klien (e con le hostess che facevano da simpatico contorno). Poi, la sera, camminata a piedi dal paddock al parcheggio stampa che era rigorosamente fuori dall'autodromo, dopo i due controlli di polizia che aprivano bagagliaio, controllavano se ci fossero esplosivi sotto la macchina e via di questo passo, all'ingresso e all'uscita. In tribuna, il vuoto. Niente e nessuno. Divertente fu invece l'arrivo di Mike Tyson, invitato da Flavio Briatore che lo esibì con orgoglio nel motor home della Renault. Solo che Iron Mike era un tifoso della Ferrari e pretese di andare a vedere prove e gare nel box della rossa, con tanto di scort della security degli uomini di Maranello, come se Tyson avesse bisogno di loro per circolare tranquillo nel paddock...
Solo la domenica della prima gara ci fu un afflusso enorme, scortati da camion militari. E il perché lo capimmo dopo: in pista arrivò il presidente Erdogan, che aveva voluto impianto e gran premio. La procedura del via era quasi completata ma lui volle andare a salutare Schumacher e Todt. Con qualche imbarazzo Ecclestone lo accompagnò e Todt, molto nervoso, rivolse il saluto freddamente, visto che in teoria, in quel momento, in pista non doveva esserci nessuno ma lo spot elettorale doveva andare in onda e infatti dalla tribuna centrale, gremita di funzionari, famigliari e supporter di Erdogan, partì l'ovazione con saluti, riprese TV e via di questo passo, fino a quando Ecclestone prese in mano la situazione e sgombrò la pista rapidamente.
Detto dei ricordi del circuito, i momenti più belli erano legati al dopo corsa, con visite alle moschee e ai monumenti storici della città, coi ristoranti sul Bosforo presi d'assalto e un curioso aneddoto serale. I taxi erano prevalentemente delle Fiat Duna, tutte gialle. I tratti in salita molto ripidi, specie attorno allo stadio di Galatasaray e per andare a un ristorante, una sera decidemmo di prenderne uno. Peccato che fossimo in quattro, di cui uno che pesava oltre 125 kg. Risultato: su una salita il taxi brucia la frizione, col peso sul posteriore si impenna e rischiamo di venire travolti prima di scendere al volo e mettere in sicurezza il taxi. Il povero tassista riuscì a fermare un collega che ci caricò a bordo, ma solo dopo aver superato la salita (e fatto fare a piedi al collega la strada) per evitare di bruciare la frizione anch'egli e buttare via il taxi. Ricordi di una Turchia del tempo che fu e di una pista spettacolare nel mezzo del nulla.