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Un'altra stagione è finita e per la Ferrari si volta pagina. Certo, mancano ancora due gare alla fine e qualche altra soddisfazione è possibile, cosa che renderà ancora più amaro il bilancio di un anno che avrebbe potuto essere e invece non è stato. Il gioco di parole è presto spiegato: erano anni che la Ferrari non schierava una monoposto così competitiva, veloce e adatta a tutte le piste del mondiale. Un motore potente, una aerodinamica indovinata, un assetto bilanciato. Eppure, è finita come è finita.
Errori strategici, errori del pilota, Vettel in primis, nervosismo, diatribe, una squadra che unita all'apparenza, spaccata nella realtà. Con un punto di volta ben chiaro: la morte del presidente Sergio Marchionne. E' da quel momento che la Ferrari ha accusato il colpo che l'ha portata al declino contro la Mercedes. A fine luglio, con Marchionne in fin di vita, il colpo di grazia di Vettel. L'errore nel GP di Germania, dove era in testa e senza rivali. Sebastian che esce e sbatte, ritirandosi. Hamilton che vince e porta a casa bottino pieno. E' lì che psicologicamente ci si è giocati il mondiale. E' lì che i tecnici hanno stabilito le modifiche per le gare di Singapore e Giappone, che poi non hanno funzionato.
E' lì che la squadra si è spaccata. Da un lato Maurizio Arrivabene e la sua gestione, dall'altra Mattia Binotto con lo staff di tecnici. Sergio Marchionne aveva ben chiaro chi erano i suoi uomini, su chi contare e come. Marchionne non era un tecnico, non era un ingegnere, di F.1 forse ci capiva poco, ma aveva il polso della situazione, sapeva capire al volo chi mentiva, chi aveva potenziale e chi barava. E faceva da scudo a tutti. Nel bene e nel male, c'era un punto di riferimento per tutti. Positivo o negativo che fosse, si sapeva chi comandava, si sapeva a chi dare conto. Con la sua scomparsa improvvisa è mancato questo punto di riferimento, è mancato quell'equilibrio che non lascia solo in pista il pilota che deve vincere il mondiale.
Da qui i problemi di Vettel, e gli errori, 9 in 18 gare, troppi per chi ambisce al titolo ,specie se di fronte c'è uno come Lewis Hamilton che non sbaglia un colpo e ha la Mercedes al 100 per 100 a sua disposizione. E' in questo gioco di equilibri, di rapporti personali, di contrasti fra la dirigenza sportiva, Arrivabene, e la visione tecnica di Binotto, che forse ambiva ad altro. Da qui le accuse (Giappone, errore clamoroso in qualifica) le divisioni degli uomini del team. Chi da un lato con Binotto, chi dall'altra con Arrivabene. E in mezzo una presidenza nuova inesistente, leggi John Elkann, e un Ad che deve prendere le misure, leggi Louis Camilleri. In mezzo una gara ogni settimana, un ambiente che deve lottare unito e nella stessa direzione.
Tante incognite, una certezza. Che parte proprio dalla macchina vista in pista in questo 2018: veloce, competitiva, copiata da Red Bull e Mercedes per le soluzioni innovative
Alla Ferrari serve tempo per ritrovare gli equilibri, magari con tagli dolorosi (Raikkonen licenziato, prima fa perdere Vettel a Monza, poi vince la gara in USA), ma sopratutto serenità. Ritrovare il piacere di lottare e vincere insieme, ritrovare un Vettel campione come in passato e non il fratello gemello attuale, entrato in una spirale in cui non si vede l'uscita dal problema. E poi l'arrivo di Leclerc, giovane talentuoso che nel 2019 potrebbe essere la sorpresa o la delusione, dipende da cosa troverà attorno a sè. Tante incognite, una certezza. Che parte proprio dalla macchina vista in pista in questo 2018: veloce, competitiva, copiata da Red Bull e Mercedes per le soluzioni innovative. Come dire che a Maranello le macchine le sanno fare, sono capaci, bravi e all'avanguardia. Ecco, meglio partire da questa certezza ricostruendo il resto. Perché se è vero che la scomparsa di Marchionne ha dato un brutto colpo alla squadra, è anche vero che il lutto non può durare per sempre.