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Era già scritto da tempo, come se una regia occulta avesse organizzato tutto per il gran finale nella patria del gioco d’azzardo, quella Las Vegas che con la F.1 non c’entra niente, ma che doveva avere un finale di stagione degno di nota. E così è stato. La doppietta Mercedes con Russell vincente davanti ad Hamilton, pilota del giorno grazie alla sua rimonta dal decimo posto, Max Verstappen che vince il quarto titolo iridato consecutivo, imitando Sebastian Vettel nella stessa avventura in Red Bull, la Ferrari che sale sul podio ma si spacca nei rapporti fra Sainz, terzo, e Leclerc, quarto, come se il focherello che languiva sotto le ceneri non fosse più che evidente da tre anni a questa parte.
Un mix perfetto, quasi un preludio del film sulla F.1 che Brad Pitt ha girato anche a Las Vegas con effetti scontati e immagini rubate dalla tribuna. Insomma, doveva essere Las Vegas lo scenario conclusivo di una stagione che nelle prossime due settimane vede Qatar e Abu Dhabi in fila per l’assegnazione ufficiale dell’altro titolo, quello costruttori, con una Ferrari che insegue a 24 punti la McLaren e Red Bull che rosicchia qualcosa ma sembra fuori dai giochi. Sembra, perché a vedere come la Mercedes abbia vinto qui e come andava nelle gare precedenti, è chiaro che basta poco per cambiare gli equilibri. Conferma che arriva da una McLaren in crisi con Norris e Piastri solo sesti e settimi, ovvero quella che sembrava per tre quarti di stagione la macchina migliore, qui le ha beccate in qualifica pure dalla Alpine di Gasly. Segno che ci sono molte variabili in gioco e dare per scontato qualcosa è sbagliato. Una Las Vegas a due facce: in testa Russell che ha dominato senza problemi, Hamilton in rimonta a dimostrazione di una Mercedes competitiva e imbattibile, una Ferrari che ha sofferto con le gomme e con la gestione gara, un Leclerc nervoso quasi come se tutto gli fosse dovuto e nel team radio dopo gara ha pure esagerato, ma lo si capisce per l’adrenalina del dopo GP. Di certo l’anno prossimo se fa lo stesso con Hamilton, è segno che qualcosa va rivisto.
Detto questo, Verstappen quarto titolo mondiale. Forse quello vero fra i quattro. Nel senso che nel 21 il finale di stagione ha lasciato un’ombra indelebile sul titolo, anche se la stagione è stata di altissimo livello. Nel 22 vita facile con una Ferrari suicida di motore e strategie, nel 23 ha corso da solo e quindi tutto facile. Ma quest’anno ha dovuto usare il cervello, il mestiere, la classe e la psicologia nei confronti dei rivali. Non aveva la miglior macchina, a parte inizio stagione, dove ha incamerato il vantaggio che ha saputo gestire. E poi il Brasile, capolavoro unico di classe, velocità e tattica. Un titolo meritato perché ha vinto il miglior pilota. Il guaio di Max è che sta antipatico alle frotte di tifosi ferraristi che accolgono come eroi soltanto chi guida in rosso, salvo poi scaricarlo alla prima occasione. E Max è uno dedito alle corse al 110 per cento, perché mentre gli altri fanno passerella al galà modaiolo o vanno in pizzeria con la loro supercar nel Principato, lui è in pista a guidare le DTM, le Acura della Imsa o a fare le gare virtuali di notte. Ecco, lui ama le corse, le competizioni, è dedito totalmente a questo sport. E sta antipatico perché i campioni dividono sempre. Alzi la mano chi a suo tempo, ovvero coi campioni in azione, abbia mai trovato simpatico un Lauda, Schumacher, Senna, lo stesso Hamilton. Sono di un’altra razza. Da valutare nel tempo e quando, smesso gli abiti dei piloti, diventano umani e li riscopri sotto un’altra luce. Quella del campione senza tempo.