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BARCELLONA – Rosberg torna in pole position e batte Hamilton, gli rifila un pagone di tre decimi di distacco eppure non gongola, anzi: “bello fare la prima pole e partire davanti perché qua è importante” già, perché dalle altre parti è importante partire dietro. E Vettel, terzo, che si dice soddisfatto della macchina: “In gara le cose cambiano, non è male anche se non è andata come pensavo con le modifiche” il succo del suo pensiero. A questo punto occorre scrivere una lettera aperta ai piloti perché buona parte del dormita è colpa loro. Basta con i comportamenti corretti, basta con le lagne preconfezionate e del volemose bene.
Dichiarazioni che non trasmettono passione
Rosberg fa la pole? Bene, dovrebbe urlare al mondo “son contento di aver battuto questo bastardo che mi rende la vita difficile e domani gliela faccio pagare”. Invece nulla: “Contento per il team, Lewis farà bene etc etc etc…” Ma andate a zappare la terra una volta tanto, perché così si svilisce il mondo delle corse, fatto di cuore e passione, di sangue che scorre nelle vene.
Invece no, un impiegato in banca o in posta vive momenti più intensi e lo comunica rispetto a questi signori che, per inciso, la pelle la rischiano davvero, ci danno dentro da matti ma quando si tratta di trasmettere tutto ciò, si trasformano in perfette macchine da marketing aziendale. Una dimostrazione? Ieri a Raikkonen hanno chiesto cosa fosse cambiato rispetto all’anno scorso e dopo averci pensato ha risposto: “L’anno è cambiato” come dire che era tutto uguale. Ma lui è così naif, poco comunicativo che però quando apre bocca dice quello che pensa e se ne frega del resto.
Altro esempio? Vettel. La macchina nuova non è andata come sperava, poteva anche dire: “Siam messi male nel senso che non ci capiamo na beata mazza e non sappiamo come venirne fuori” Invece ha detto: “Stiamo raccogliendo i dati per ottimizzare le prestazioni, abbiamo visto qualcosa di interessante dai nostri test”. Che tradotto avrebbe dato più godimento se avesse detto non sappiamo come venirne fuori perché è un casino che non sappiamo interpretare.
Si comincia già da rookie
E che dire dei ragazzini Sainz e Verstappen? Quinto e sesto, miglior prestazione per la Toro Rosso da tempo immemore, dalla pole e vittoria di Vettel a Monza 2008. Ebbene, “contento del risultato, la gara sarò dura e davanti al mio pubblico spero fare bene”. Bravo e che volevi dire che volevi fare un disastro e beccarti le pernacchie della gente caro Sainz jr? Verstappen, 17 anni, non è molto più ciarliero, anzi. Muso lungo, aspetto incazzato fin dal primo mattino, il giorno che ride arriva il diluvio. “Buona prestazione, abbiam commesso qualche piccolo errore, dobbiamo migliorare etc etc etc”. Ma va in miniera a dirlo! Hai fatto un tempo eccezionale, a 17 anni parti in terza fila e forse te la giochi per il podio con un risultato storico, e la meni come se il destino del mondo dipendesse da te?
“La colpa non è loro – dice Johnny Herbert, ex pilota F.1 e attuale telecronista di Sky UK – i piloti oggi sono troppo giovani, quindi non hanno personalità quando arrivano in F.1, il marketing decide cosa devono dire, come vestire, come comportarsi, cosa fare. Oi le scelte del marketing cozzano con la vita reale, ma intanto nei box non si diverte nessuno. Quando poi crescono e cominciano a tirare fuori la personalità, ci pensano gli stipendi alti dei campioni a tenerli buoni o a provocare le rotture coi team.
Ricciardo, l'unico pilota genuino
Per ora l’unico che vedo vero, sincero e senza problemi di marketing, anzi forse sposa proprio la voglia di questo genere di pilota, è Daniel Ricciardo. Sorride sempre, è disponibile e simpatico. Per dare una scossa all’ambiente dovrebbe andare alla Ferrari, perché potrebbe trainare davvero questo mondo. Al momento, parlando di Ferrari, l’unico vero personaggio emergente è Maurizio Arrivabene, sanguigno, vero, tifoso, molto italiano. Ma non è un pilota…”. Già, sembra di essere tornati ai tempi di Briatore, con uno Schumacher in costruzione…
Paolo Ciccarone