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Mancava un passo per entrare definitivamente nella storia. Comunque avesse vinto. La sfida fra il campione in carica, Lewis Hamilton, e lo sfidante Max Verstappen, è destinata ad entrare nei libri di storia. Entrambi a pari punti alla vigilia dell'ultima prova, con la discriminante di una gara mai disputata: il GP del Belgio dello scorso agosto. Eh sì, perché nella malaugurata ipotesi che i due fossero finiti fuori gara, alla fine la differenza l'avrebbe fatta il monte vittorie e Max Verstappen ne aveva una in più di Hamilton.
Proprio quel GP del Belgio mai corso per la pioggia e concluso dopo un giro dietro alla safety car. Sarebbe stata una beffa, senza dubbio, ma anche il segnale che qualcosa non va nel dorato mondo della F.1. Per fortuna non c'è stato bisogno, anche se poi le polemiche n on sono mancate. Avesse vinto Lewis Hamilton avrebbe ora 8 titoli mondiali, uno in più di Michael Schumacher. E sarebbe stato record assoluto, un primato difficilmente battibile per i prossimi 20 anni almeno. Ha vinto Max Verstappen, il primo olandese a farlo, colui che ha interrotto i 7 anni di dominio Mercedes. Un evento storico, comunque la si guardi.
E che i due alfieri abbiano punti di contatto e differenze abissali è un dato di fatto. Diversi per origini, diversi per forma mentale. Diversi per stile di guida e atteggiamento verso la vita. Lewis Hamilton, figlio di un ferroviere, nato a Stevenage e vissuto in un monolocale ad Haffield col padre impiegato alla British Rail con sede a King's Cross. La prima vacanza fu il premio in biglietti omaggio della società al padre Antony che lo portò, in camper, a Ibiza dopo aver attraversato mezza Europa coi mezzi a disposizione: treni, traghetti e, come detto, il camper dove Lewis a tre anni non sognava di fare il pilota. Lo scoprì girando su un kart a noleggio, 60 cc, dedicato ai bambini: "Non volevo più scendere, da quel momento guidare per me fu tutto".
Poi l'ascesa, l'accordo con la CRG sponsorizzato da Ron Dennis, il patron della McLaren che vide questo ragazzino arrivare vicino, chiedere un autografo e chiedere se poteva diventare un pilota per la McLaren. I primi passi semiprofessionali in Italia con Giancarlo Tinini, il patron di CRG a Lonato del Garda, che vide le qualità di questo ragazzino. In fondo, di talenti da quelle parti ne hanno sviluppati e conosciuti tanti, da Kubica allo stesso Verstappen tanto per restare in tempi recenti. Un destino comune che passa o è passato per l'Italia. Poi l'ascesa di Lewis, le prime vittorie, i primi guadagni, una casa più grande per il padre, le cure per il fratello disabile, l'attenzione per il mondo che lo circonda, la fondazione per aiutare i deboli. E il record di 103 vittorie in F.1, 7 titoli. Con l'ottavo rimasto un sogno per 57 giri e mezzo di gara. E un Max Verstappen gli fa da contraltare.
Professione pilota. Non l'ha scelta, l'ha subita. Il padre Jos, ex pilota F.1 al fianco di Schumacher alla Benetton, lo ha cresciuto a pane e motori. E se non faceva quanto chiesto, arrivava la punizione. Come quella volta che mollò Max in autostrada perché aveva buttato via una gara. Uno così nella vita ha poche possibilità di successo: o finisce in qualche rissa al bar, oppure diventa un talento nello sport. Gli è andata bene perché ha imboccato la seconda via, quella del successo, dovuta proprio a quel padre ingombrante, dispotico e autoritario che voleva per il figlio quel successo che a lui era mancato. E dietro a questo, un paese intero: l'Olanda, che scopre la F.1, che fa il tifo per questo ragazzo che tutti hanno adottato.
Anche se poi è nato in Belgio da madre belga, anche lei pilotessa nei kart dove ha conosciuto papà Jos. La storia dice che Max è stato precoce in tutto: nell'affrontare i problemi di famiglia, la separazione dei genitori. Dall'imparare a guidare in modo duro. Un Romeo Benetti del calcio per gli amanti del passato. Un mediano che diventava un muro, incrollabile, spietato e roccioso. Un po' lo stile di Verstappen, che nel tackle ravvicinato punta alla caviglia e non alla palla, come dimostrano gli episodi di questa stagione (vedi Monza, Silverstone o Jeddah, tanto per citarne tre a caso). E un Lewis Hamilton più Mariolino Corso, estroso, capace di rivoltare le situazioni impossibili. Come la doppia penalizzazione del Brasile, con sanzione e motori cambiati e una grande rimonta dal fondo dello schieramento.
"Fu il punto di svolta - dice Stefano Domenicali, CEO di Liberty Media che gestisce il campionato - Hamilton ha saputo ribaltare una situazione difficile, tirando fuori quella forza mentale che fa la differenza nei momenti difficili. Verstappen è stato grande, ha saputo lottare, vincere e combattere contro uno dei più grandi piloti della storia: entrambi ci hanno regalato un mondiale unico ed entusiasmante. Chiunque avesse vinto, per la F.1 sarebbe stato un biglietto da visita formidabile". Ha vinto Verstappen, il nuovo, il giovane, che ha battuto Hamilton, la storia e l'uomo dei record. Con l'ultimo, l'ottavo titolo, rimasto un sogno nel cassetto per 57 giri e mezzo.