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L'incontro, casuale. Come al solito. Il luogo, scontato: un autodromo. Il momento, una gara di F.4 italiana. Lui, pilota di F.1 di lungo corso col casco appeso al chiodo da tempo, ma con dentro tutta la passione di una volta. Nome e cognome: Bruno Giacomelli. Dei suoi trascorsi con l'Alfa Romeo in F.1 e tanto altro ancora, meglio lasciar perdere. Lo sanno tutti, basta consultare un annuario per capire chi è stato e cosa ha vinto, specialmente in F.2 con la BMW.
Ora Bruno giracchia per autodromi, vede in azione le nuove leve e al bar si finisce per parlare della situazione attuale. In F.1 l'arrivo di Lance Stroll fa discutere. Troppo giovane, inesperto, troppo ricco, troppo incapace. Insomma, troppo di tutto nel bene e nel male. Invece Bruno si guarda attorno e comincia a parlare a ruota libera senza sapere che quello che gli esce di bocca diventerà un articolo. Infatti, le sue sono considerazioni serie fatte da chi ci capisce di motori. Partiamo dalla sorpresa di venire in autodromo e non trovare nessuno...in curva: «Infatti, arrivo, giro nei box, guardo le macchine ma sopratutto i motor home che ai miei tempi nemmeno in F.1 avevamo così attrezzati. Davvero un bel passo in avanti, incredibile se si pensa che tipo di auto sono. Le F.4 sono fatte bene, bel telaio, carbonio dappertutto, davvero mi sono piaciute un casino. Poi vedo a che ora partono le prove e dico: chi viene con me in parabolica? Sai, lì devi essere bello preciso nella guida, devi avere stile. Non viene nessuno. Vado da solo, li vedo girare, nessuno che mi entusiasmi, sembrano tutti uguali. Staccano tutti allo stesso punto, inseriscono allo stesso modo, scivolano via uguale. Se fossero dello stesso colore faticheresti a capire chi sono. Poi torno ai box e vedo il pilota con le cuffie in testa col computer davanti che riguarda il suo giro di pista col camera car. Volume alto, meccanici intorno e io mi chiedo a cosa serve una cosa simile. Non hai la telemetria con cui vedere cosa hai fatto, non hai i dati del tuo compagno o rivale principale per confrontarti, capire dove sbagli, dove migliorare. No, niente. Mi sembra uno che faccia il giro alla playstation e poi se lo riguarda. Stessa sensazione».
Quindi una categoria inutile sotto certi aspetti? «No, è importante imparare e da qualche parte i ragazzi devono farlo. Solo che questi qui prima di salire in auto fanno ore e ore di simulatore, arrivano che l'abitacolo è l'estensione della sala giochi, infatti guarda che razza di incidenti fanno! Poi mi sento chiedere se voglio fare il tutor. Chiedo che roba è? Cioè un pilota con esperienza magari di nome messo a svezzare il pilota. Ma io correvo in pista, la gente la guardo guidare mica davanti a un computer che si rivede il giro di pista!».
Quindi una categoria di giovani piloti svezzati a playstation...«Non dico di tornare ai miei tempi, che se sbagliavi finivi contro un muro e ti facevi male, no ma ci vorrebbe qualcosa di diverso. Io poi coi ragazzi ci starei, ma devi fare i conti coi genitori, che hanno tutti Senna per le mani, con gli sponsor (se ci sono). Non mi ci vedo a fare il tutor, alcuni lo fanno ma a me non interessa. A meno che non ci sia un bel talento...».
Insomma, uno come Stroll non l'avresti gestito: «Non so dirti, mi dicono che ha tanti soldi, che lo fanno girare molto con uno staff suo. Ecco, posso dire che con le F.1 di oggi i ragazzi sono avvantaggiati, guarda Verstappen che appena salito è andato subito forte. È un'altra F.1, poco da fare e questi ragazzi vengono forgiati apposta per queste corse così».
Non è che ai tuoi tempi la macchina contasse meno di oggi, dai... Con la Life non hai cavato un ragno dal buco...«Ecco, parliamo di Life, dopo l'esperienza Toleman McLaren o Alfa Romeo, una gran macchina con la quale avremmo potuto vincere dei GP senza delle piccole cavolate che ci hanno fermato, ecco la Life, dicevo, era meno peggio di quello che sembrava. Il telaio era buono, era infatti quello costruito per la First di Lamberto Leoni per un progetto che poi è saltato. Vita ha recuperato il materiale e con l'ingegner Rocchi ha deciso di montare un motore avveniristico. Era il tempo dei 12 cilindri. A V erano troppo lunghi (vedi il Lamborghini dell'epoca) invece noi avevamo un motore a W, cioè tre file da 4 cilindri l'uno. Venne anche Roche, lo scomparso capo ingegnere della BMW, a vederlo e fece i complimenti. Dal punto di vista meccanico era stupendo, aveva una coppia incredibile, faceva paura. Il guaio è che avevamo al massimo 380 cavalli contro i 750 degli altri, per cui eravamo nelle peste. A Montecarlo ero più lento della F.3 in certi tratti, ma solo perché le F.3 erano più piccole e agili io invece dovevo portarmi dietro tutto il barcone di macchina. Fu un progetto fallito perché ci volevano troppi soldi e tecnologia per svilupparlo. Quando poi siamo passati al motore Judd V8, orami era tardi, i debiti tanti e soldi pochi, per cui è finita l'avventura. Ma lo ripeto: il telaio e la struttura non erano male, eravamo quattro gatti, ma almeno ci abbiamo provato a fare qualcosa di diverso!»