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Guardando una cartina stradale della zona attorno al Nurburgring non ci si rende conto di cosa ti aspetta. Una volta sul posto, una striscia nera di asfalto fra gli alberi fa capire che una volta quel tratto di strada veniva usato per la normale circolazione. Adesso è tutto chiuso con cancelli, macchine parcheggiate e autobus fermi in bella fila.
The rush
Poi, avvicinandosi, un cartello indica l'ingresso principale di quello che era la sfida per antonomasia di qualsiasi pilota: il vecchio Nurburgring. Oltre 20 km di curve e controcurve, dossi, saltelli, i due Karusell e un lungo rettilineo ondulato su cui ad ogni dosso si spiccava il volo verso il cielo. Immagini rimaste nella memoria collettiva e che ogni appassionato può trovare sui libri di F.1 degli anni 60 e 70, fino a quando l'incidente di Niki Lauda decretò la fine di questa pista nel giro mondiale per ragioni di sicurezza.
E all'improvviso si capisce che quella striscia d'asfalto altro non è che la pista più famosa del mondo. Un groppo alla gola ti prende all'improvviso, al pensiero di quello che sono oggi gli autodromi. Ampi spazi, vie di fuga incredibili, guard rail, muretti e ancora: pompieri ogni cento metri, carri attrezzi, commissari. Lì invece no: tutto è rimasto come una volta, anzi: seppure migliorato, il pensiero va a certe imprese leggendarie facendoti domandare come accidenti potevano correre lì con le F.1 e le sport quando oggi è già un problema farlo con una vettura turismo.
“All'ingresso principale si nota quello che era la sfida per antonomasia di qualsiasi pilota: il vecchio Nurburgring. Oltre 20 km di curve e controcurve, dossi, saltelli”
Ma come facevano una volta?
Come ha potuto un Clay Regazzoni vincere con la Ferrari nel 1974, o come fu salvato Lauda quando andò a sbattere con violenza al Berckwek nel '76. O come ha potuto uscire incolume dal pauroso volo con la March F.2 Manfred Winckeloc quando perse il controllo della sua macchina su un dosso al Flugplatz, ovvero il dosso dell'aeroporto, come si può tradurre il nome di quel tratto di pista?
Sì, i tempi sono cambiati, ma nel vedere quel monumento in mezzo agli alberi, viene la rabbia di non essere stati testimoni di un'epoca ormai scomparsa. Oggi abbiamo solo una pallida idea di cosa è un vero pilota di F.1. Qui la Mercedes organizza sempre una delle due tappe tedesche con giornalisti ospiti.
“I tempi sono cambiati, ma nel vedere quel monumento in mezzo agli alberi, viene la rabbia di non essere stati testimoni di un'epoca ormai scomparsa”
Vieni in Germania? Sei ospite della Mercedes
Negli ultimi tempi gli italiani sono al massimo due o tre, mentre inglesi e tedeschi la fanno da padrone. L’ospitalità è sacra e lo staff che fa capo a Wolfgang Schattling, capo ufficio stampa Mercedes Motorsport, è di altissimo livello. Wolfgang è considerato uno dei migliori se non il migliore addetto stampa della F.1. Ma questa è la casa della Mercedes e, allora, via con la tradizione.
La cena al ristorante Sankt Peter vicino a Bad Neuhear, centro medievale conservato con cura è stupendo da visitare. Incontro coi piloti, e per finire il giro di pista del vecchio Nurburgring. Al volante si sono alternati i piloti che corrono nel DTM: Ludwig, Schneider, ma guidava anche Norbert Haug, ex giornalista e gran capo della Motorsport. Se al volante c’è lui, meglio lasciar perdere.
Herzegovina o Herzigova?
Una volta, però, alla vigilia della corsa entrò anche la politica. Accadde quando la Francia aveva ripreso i test nucleari nel Pacifico. Ne parlarono tutti i giornali e le TV del mondo, ma in F.1 vige una specie di legge non scritta per cui tutto quello che riguarda l'esterno, guerre, inquinamento e altro, non fa parte del “circus”, non esiste.
“In Portogallo destò sorpresa, nel 97, vedere Berger indossare un casco con la scritta “non più guerre nel mondo”. E infatti, qualche pilota ha chiesto dove fosse questa guerra di cui tutti parlavano”
In Portogallo destò sorpresa, nel 97, vedere Berger indossare un casco con la scritta “non più guerre nel mondo”. E infatti, qualche pilota ha chiesto dove fosse questa guerra di cui tutti parlavano. E quando qualcuno ha detto Bosnia Herzegovina, si è sentito rispondere: “Chi? La famosa top model?”. Herzigova, la famosa modella dei reggiseni si chiama Eva Herzigova, non Herzegovina.
A Monza, nel 2001 e a Indianapolis, la reazione alle stragi delle torri gemelle e del Pentagono coinvolsero anche l’asettico mondo della F.1, ma fino a quel momento non è che ci fosse stata grande attenzione: la F.1 è un ambientino in cui tutto quello che esula da motori, gomme pistoni e alettoni, è sempre più difficile da trattare.
Attento a quello che dici...
Quella volta al Nurburgring, però, fu Taki Inoue a far venire alla ribalta una vocazione ecologista. Al giornalista di Le Monde che voleva intervistarlo, Taki rifiutò categoricamente ogni dialogo: “Con voi francesi non ci parlo perché state distruggendo il Pacifico con i vostri stupidi esperimenti nucleari. Non solo, ma io boicotto tutti i prodotti francesi: vini, profumi, acqua minerale, fino a quando non ve ne andrete da Mururoa”.
“Taki Inoue fece venire alla ribalta una vocazione ecologista. Al giornalista di Le Monde che voleva intervistarlo, Taki rifiutò categoricamente ogni dialogo”
Apriti cielo: il giornalista di Le Monde se ne andò scandalizzato, anche perché Inoue non era certo uno Schumacher per via del talento. Il massimo del ritorno stampa il giapponese lo ottenne a Budapest nel 95, quando fu investito dall’auto dei pompieri mentre cercava di spegnere la sua Arrows e poi ancora a Montecarlo, quando fu investito dalla macchina di servizio che non vide la sua F.1 alla esse della piscina perché troppo lenta.
...Potrebbe essere usato contro di te!
Ma dopo la sparata ecologista, tutti si accorsero di Taki Inoue. A quel punto in sala stampa si diffuse la notizia e un gruppo di giornalisti francesi rimediò alla figuraccia con Inoue: “Visto che lui non vuole parlare con la stampa francese per i test nucleari a Mururoa, noi giornalisti rifiutiamo di parlare con lui e gli esponenti giapponesi della F.1, sia motoristi, sia sponsor e piloti, perché il Giappone non aderisce al trattato contro la caccia alle balene. Salviamo i cetacei, boicottiamo i prodotti giapponesi”.
I francesi non se ne andarono da Muroroa e i giapponesi continuano a cacciare le balene, per cui la battaglia della F.1 del Nurburgring è passata in archivio senza risultati degni di nota. Piuttosto, fra le curiosità di questa gara, ci fu un commissario sportivo di origini italiane: di Molfetta, provincia di Bari, per la precisione.
“Col clima incontrato quell’anno al Nurburging, 1997 per la precisione, sparirono i dubbi su dove Babbo Natale tenesse i pinguini in estate”
Abbiamo sentito bene?
Col clima incontrato quell’anno al Nurburging, 1997 per la precisione, sparirono i dubbi su dove Babbo Natale tenesse i pinguini in estate. Il warm-up, infatti, fu ritardato di 35 minuti perché la nebbia, e in certi punti il ghiaccio, avevano reso impraticabile la pista. Fra starnuti vari e mani che tremavano per il freddo, è capitato anche di sentire qualche imprecazione in dialetto barese.
Saranno state le allucinazioni da freddo, abbiamo pensato. Ma ci siamo ricreduti molto presto. Fra i commissari di pista arruolati dall'organizzazione ve ne era uno italiano appunto, precisamente di Molfetta, che era quasi immobile presso il box della Ferrari: “Che tempo del cavolo!” era la frase tipica dei meccanici della Rossa. Al che il nostro prode Michele ha sfoderato un sorriso a trentadue denti: “Ma come? Qui è bellissimo. Di solito quando a Milano c'è la nebbia, qua è ancora bello, ci sono i vigneti che mi ricordano tanto la mia regione. Che ci faccio qui? Mi sono sposato con una tedesca. Dopo sette anni come mozzo su una nave ho voluto piantare le tende”.
“Chi lo avrebbe mai detto che nel cuore della Germania, su una pista fra le più famose del mondo, un marinaio barese avesse messo le radici e contribuito allo svolgimento della F.1?”
Italiani: sempre ovunque
E che diamine: con tanti posti in giro per il mondo proprio a cavallo fra Belgio, Lussemburgo e Germania doveva finire? Roba che dopo una settimana uno tenta il suicidio per la disperazione, specie se capita lì in inverno. “Ma no, non ci sono problemi col tempo. Il guaio è che da tre giorni mi fanno venire in pista alle cinque e mezza di mattina, mi schiaffano una penna e un blocchetto in mano e fino alle nove e mezzo non succede niente. Mo' la cosa mi da' pure nu poco fastidio. Guarda qua, controlla là: questi qua mo fanno la solita cosa. Spostano un pezzo da da a do, e da do a da (cioè da lì a qua e da qua a là, ndr), non ce la faccio più”. Quello che non sono riusciti a fare venti anni di permanenza in un piccolo villaggio attorno al Nurburgring, lo hanno fatto tre giorni di F.1 nei box. Potenza delle corse.
Chi lo avrebbe mai detto che nel cuore della Germania, su una pista fra le più famose del mondo, un marinaio barese avesse messo le radici e contribuito allo svolgimento della F.1? E come stupirsi se la maggior parte dei ristoranti della zona sono tutti italiani e gestiti da siciliani, napoletani o pugliesi? E’ un classico, peccato che la società del Nurburgring, dopo i grandi lavori di ammodernamento, con tanto di nuovo hotel, sia in amministrazione controllata.
I debiti hanno sfiorato i 200 milioni di euro, il Land non ci mette un soldo, e le rate da pagare sono salatissime. Infatti, un anno si corre al Nurburgring un anno a Hockenheim. Tutti e due insieme faticano a fare l’incasso e a salvare la manifestazione. E meno male che la Germania è quella che trita tutti in Europa, ma basta fare un salto da queste parti, e si scopre come da noi non si stia poi così male. Potenza del Nurburgring!