F1, Franz Tost: "La Toro Rosso? Italiana al 100%"

F1, Franz Tost: "La Toro Rosso? Italiana al 100%"
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Intervista al team manager della Toro Rosso, Franz Tost, che negli anni ha lavorato con Vettel, Ricciardo e Verstappen, tra gli altri
28 ottobre 2018

Si chiama Franz Tost, ha 62 anni, è austriaco, ed è il team manager della Toro Rosso, la scuderia di Faenza nata su quella che era la Minardi e che da oltre dieci anni sforna campioni a ripetizioni. Professione: educatore di campioni. Come Vettel appunto. O Ricciardo e Verstappen, per limitarci agli ultimi due esempi eclatanti. E' una scuola nata e voluta dalla Red Bull Racing di Salisburgo col preciso scopo di creare campioni. Franz Tost, che da ex pilota di F.Ford e F.3 ha cominciato a lavorare nel 1993 con Willy Weber e la struttura che seguiva Michael Schumacher, si è fatto tutto lo spettro del motorsport: pilota, ingegnere di pista, meccanico, responsabile marketing, responsabile logistico per BMW quando era in F.1 con la Williams. Poi la chiamata di Dietrich Mateschitz, il patron di Red Bull con uno scopo: "Sì, mi ha chiesto se me la sentivo di gestire la Toro Rosso con lo scopo di creare giovani campioni. Ma non solo piloti, anche tecnici, ingegneri, personale di pista, da svezzare e girare poi al Red Bull Racing che sta in Inghilterra".

Una vita da....mediano per Tost, che anno dopo anno seleziona, analizza, fa crescere e sforna campioni. Che poi gli altri valorizzano dimenticandosi del suo lavoro. Ogni anno deve rifare tutto, ha svezzato Verstappen, ma prima ancora Vettel, Ricciardo e tanti altri ancora. Arrivano imparano e poi vanno via...

"Diciamo che per me non è una delusione, quando Matesichitz mi chiamò a dirigere la Toro rosso aveva in mente due cose. La prima, svezzare i giovani piloti della scuola Red Bull, secondo sviluppare Red Bull Tecnology, il target nostro era proprio quello di formare tecnici, piloti, personale, da girare poi a Red Bull Racing, motivarli e promuoverli. Abbiamo lavorato molto bene in questi anni, perché tutti i piloti Red Bull sono arrivati dalla Toro Rosso e se non fosse accaduto avrebbe significato che non abbiamo lavorato bene. Invece il ruolo di formatori si sta rivelando positivo e siamo felici che ogni anno Red Bull scelga piloti provenienti da Toro rosso, il prossimo anno avranno Gasly, un altro ragazzo cresciuto da noi, quindi vuol dire che abbiamo lavorato bene."

Franz Tost, team manager della Toro Rosso
Franz Tost, team manager della Toro Rosso
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Il problema è che non tutti i giovani piloti sono idonei a correre con Toro Rosso, quindi in futuro potrebbe capitare di non avere più piloti da formare?

"Non basta essere giovane, devono avere anche un grande talento prima di approdare in Toro Rosso, e credo che ci saranno sempre dei giovani di alto livello da promuovere dal kart alla F.1. Noi dobbiamo guardare a tutte le categorie per selezionare i migliori, è un impegno difficile ma che dà molte soddisfazioni quando poi vedi la carriera che fanno i nostri piloti. Vettel quando arrivò da noi aveva un carattere diverso da Ricciardo, ad esempio, e da Verstappen. Tre campioni ma tre uomini diversi, ragazzi di diverse età con esperienze e formazioni differenti, tirare fuori il meglio da ognuno è il nostro compito"

Quando sceglie un giovane pilota, che caratteristiche deve avere?

"Un giovane che arriva alla Toro Rosso deve avere un carattere suo, una personalità forte e definita. Dapprima parliamo con lui, discutiamo di varie cose, analizziamo tutto. La sua motivazione, il modo in cui si approccia con la squadra, come ad esempio fa il suo sedile. Poi come sviluppa se stesso, ovvero carattere, mentalità, personalità. Come cresce. Il nostro programma prevede un impegno di due o tre anni, i piloti devono crescere anno per anno, li osserviamo non solo come prestazioni in pista, ma anche come personalità: solo una personalità forte emerge in F.1, quindi diamo molta attenzione a questo aspetto. Lavoriamo con ogni pilota in maniera individuale, singolarmente perché ognuno è diverso dall'altro, a parte i fondamentali che devono esserci, a partire dal talento, poi è il carattere che fa la differenza."

Quando arrivano alla Red Bull in prima squadra sono piloti già formati, come dire che lei fa il lavoro sporco, di svezzamento, con tutti i problemi connessi, ma nessuno lo sa...

"Beh, non direi sia un lavoro sporco, nessuno dice che ho lavorato bene e i meriti poi vanno ad altri, questo non è un problema. Il mio compito è educare i piloti, gli ingegneri e alla fine non conta se il mio nome circola o meno, l'importante è che il pilota o il tecnico sia un vincente con Red Bull, quindi non si pone il problema personale. Se non lavoro bene lo si vede. Fin tanto che diventano campioni con Red Bull, vuol dire che abbiamo svolto bene il nostro compito."

Il mio compito è educare i piloti, gli ingegneri e alla fine non conta se il mio nome circola o meno, l'importante è che il pilota o il tecnico sia un vincente con Red Bull, quindi non si pone il problema personale

Lei ha cominciato seguendo i primi passi di Ralf Schumacher, come è cambiata la sua vita professionale nel motorsport?

"Ho cominciato a lavorare con Willi Weber nel 1993, c'era già Michael Schumacher ma non era la leggenda che è diventato poi. Io seguivo suo fratello Ralf in F.3: era un lavoro completamente diverso da quello attuale, poi mi sono occupato del suo management, inseguito alla BMW fui coinvolto nel programma F.1 con Williams e infine diventai team manager della Toro Rosso. Sono stato coinvolto in diversi campi della F.1: dal management, alla tecnica, al marketing, ai rapporti con gli sponsor. Per questo motivo ho una visione completa della F.1 e dei suoi problemi".

10 anni fa la prima vittoria di Sebastian Vettel a Monza, gara italiana vinta con la Toro Rosso di Faenza spinta da un motore Ferrari...Ricordi particolari?

"Veramente ho abbastanza problemi col presente e il futuro per potermi soffermare al passato. Certo, quando arrivo a Monza ogni anno, mi rendo conto di cosa abbiamo fatto. Quelli furono giorni incredibili per noi, per me e per Vettel. Vincere come squadra italiana, con un motore Ferrari nel GP d'Italia a Monza, con Sebastian che colse la prima vittoria della sua carriera, dopo aver segnato la pole position, fu un insieme di cose indimenticabili, avvenne esattamente 20 anni dopo la vittoria di Berger con la Ferrari, un pilota austriaco che per me era un idolo ai tempi in cui correvo in macchina. Come fare a dimenticare quei giorni? Però ho il futuro da programmare, il presente da analizzare, diciamo che meglio pensare ad altro".

Toro Rosso è a Faenza ma non si ha la percezione di quanto sia italiana come squadra...

"Garantisco che è italiana al 100 per cento, dal punto di vista geografico e pratico, ci sono molti italiani nel team e siamo contenti di essere italiani al 100 per 100. Lo vedi dal clima, dalla gente, dalla regione che ci ospita, dal cibo e dall'attitudine mentale. Siamo italiani anche se io parlo poco l'italiano ma mi sforzo giorno per giorno di migliorarlo..."

La Red Bull ha sede in Inghilterra, voi in Italia, quanto è difficile lavorare da noi rispetto all'Inghilterra?

"Dipende, per le infrastrutture e la produzione delle auto, non è molto diverso dall'Inghilterra, perché in Italia si possono fare grandi cose, lo dimostra la Ferrari, la Lamborghini, la Ducati, quindi nessun handicap sotto questo aspetto. Per la produzione e la lavorazione del carbonio, non manca la gente esperta e capace, in questa regione, per fare lavori di alta qualità. E' un po' svantaggiato trovare ingegneri con esperienza, in Inghilterra è più facile rispetto all'Italia trovare personale con esperienze specifiche nel settore, perché da 40-45 anni lavorano tutti lì in F.1 e portarli a Faenza con le famiglie non è facile, qualcuno lavora da noi ma ha la famiglia in Inghilterra e trovare il compromesso non è facile!"

Resterete una squadra italiana con il compito di svezzare nuovi campioni?

"Ci vogliono dai 3 ai 5 anni per fare un trasloco completo di un team come il nostro e avere tutto in ordine, quindi è complesso e pertanto escludo che ci si trasferisca. A Faenza funziona bene, non c'è ragione di portare tutto in Austria. E poi abbiamo visto che i risultati li abbiamo ottenuti, perché cambiare?"

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