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La Ferrari ci ha provato, ma il tentativo di richiesta di una revisione della penalità comminata a Carlos Sainz nel Gran Premio d’Australia 2023 di Formula 1 è caduto nel vuoto. Alcuni sono arrivati persino a parlare di accanimento nei confronti della Rossa, ma in realtà non si tratta di un torto. Per capire perché, bisogna cominciare dalla base. L’Articolo 14.1.1 del regolamento sportivo stabilisce che le scuderie possono richiedere la revisione di una decisione dei commissari portando a supporto delle prove che al momento della scelta non erano disponibili.
Tralasciando il fatto che almeno una delle prove portate dalla Ferrari a sostegno della sua tesi – la telemetria – era già nota ai commissari, affinché la richiesta di revisione venga accolta servono però prove che possano far cambiare davvero la posizione dei commissari. Per capire di cosa parliamo conviene guardare a degli esempi in cui, effettivamente, la richiesta è stata accolta in passato. Il primo, piuttosto recente, riguarda la penalità comminata a Fernando Alonso in Arabia Saudita per il tocco del meccanico alla sua monoposto.
L’Aston Martin è riuscita nel suo intento perché in breve tempo ha reperito le immagini di sette occasioni analoghe, in cui, a fronte dello sfioramento della monoposto con il carrello da parte di un meccanico durante i cinque secondi di una penalità da scontare, non era stata comminata un’altra sanzione. In questo caso, abbiamo immagini che non erano a disposizione dei commissari al momento della decisione, e che, per giunta, rappresentavano davvero un sostegno alla tesi della scuderia di Silverstone.
Lo stesso discorso vale anche per un altro caso di ricorso accettato, che vide coinvolto Lewis Hamilton in Austria nel 2020. La Red Bull, poco prima della partenza della gara, presentò ricorso all’ultimo minuto per la mancata penalità ad Hamilton, che non aveva rallentato a sufficienza in regime di bandiera gialla. La scuderia di Milton Keynes portò come prova le immagini della telecamera a 360° della W11 dell’allora sei volte campione del mondo.
Da quel video si capiva chiaramente che Hamilton non aveva decelerato passando davanti alla bandiera gialla. E così Lewis da secondo fu retrocesso in quinta posizione, per via di una penalità di tre posizioni arrivata a pochissimo dall’inizio della gara. La Red Bull, in questo caso, non fu solo rapidissima, ma anche scaltra nel portare a sostegno della sua tesi un video – non disponibile al momento della decisione originaria dei commissari – che mostrava in modo schiacciante la colpevolezza di Hamilton.
E ora torniamo al caso di Sainz. Le prove della Ferrari, oltre alla telemetria, rivelatasi peraltro un boomerang, erano una dichiarazione scritta di Carlos e quelle post-gara di altri piloti, che corroboravano le sue affermazioni riguardo al fastidio dovuto al sole e alle condizioni della pista. Ma tutto questo non avrebbe mai potuto avere la stessa forza di video come quelli sottoposti all’attenzione dei commissari dalla Red Bull e dall’Aston Martin.
Non vale la pena nemmeno scomodare il classico precedente di Sebastian Vettel in Canada nel 2016 per tirare l’acqua al mulino della supposizione di un possibile accanimento nei confronti della Ferrari. Anche in quel caso, la prova regina, l’analisi condotta dall’ex pilota di F1 Karun Chandhok alla TV inglese, era tutt’altro che schiacciante. Era un’opinione. La verità è che il diritto di revisione delle penalità è uno strumento sacrosanto. Ma è decisamente infrequente che venga effettivamente accolto. Ieri è successo alla Ferrari, ma nell'infuocato 2021 è accaduto anche a Red Bull e Mercedes.