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A volte ritornano. Da Cayo Largo all’autodromo di Monza perché, in fondo, al cuore non si comanda. E così, metti una domenica pomeriggio autunnale in pista e con lo sguardo curioso, incroci Fabrizio Barbazza. A Monza lui è di casa, ci è nato e ci ha mosso i primi passi in auto, con le F.Monza. Era il 1982 e in pista si sognava di diventare campioni. Lui ci è riuscito, chi scrive meno… Dopo le corse, la nuova vita. Le barche a Cuba, il noleggio per la pesca d’altura, ora l’importazione di attrezzature Beta, marchio che lo ha supportato in pista anni fa.
Che fa di bello oggi Fabrizio Barbazza? “Mi godo mio figlio, diventare padre a 53 anni è una esperienza incredibile. E poi sono riuscito a farmi passare la voglia di correre ma questo non vuol dire che non ami le corse, che abbia perso interesse per questo mondo. Infatti, in Italia per pochi giorni, sono venuto subito in autodromo a dare uno sguardo a cosa propone il settore”.
Da pilota cosa puoi dire di quello che vedi? “Intanto che sono vivo e questo è positivissimo e sono felice. Dopo il botto di Road Atlanta, i sei mesi in coma e il recupero, devo dire che mi sento miracolato, per cui nulla da dire. Di certo qualcosa, guardando al passato mi resta”. Ad esempio? “Beh l’incidente in America mi ha fatto saltare una grossa occasione, dovevo fare il collaudatore Ferrari per la F.1, poi da lì impostare un programma completo. Con la 333 negli USA stavamo vincendo, avevamo messo le basi per un trionfo Ferrari su un mercato importantissimo. Piero Ferrari era felice, io ero al massimo della forma, invece il fattaccio. Sono dietro a un concorrente che nella curva in discesa frena di colpo, si scompone, io dietro mollo e vado in testacoda per non centrarlo, solo che arriva a cannone un altro che non mi vede e mi centra in pieno. Macchina distrutta, divisa a metà, pezzi di qui e pezzi di là e io in coma. Tremendo davvero. Ma sono qui a raccontarla per cui va benissimo”.
Parlando invece della tua esperienza F.1 con Minardi che ricordi hai? “Bellissimi. La M193 era una gran macchina, una delle prime progettate da Aldo Costa. All’epoca andavano le sospensioni attive, noi non avevamo i soldi per farle però Aldo si inventò un sistema di sospensioni idropneumatiche molto avanzato, solo che la reazione della macchina era improvvisa, per cui era difficile da sistemare e controllare. Infatti a fine anno quando tornarono a molle e ammortizzatori le cose andarono molto meglio e Martini fece delle gran gare. La mia F.1 di quel periodo era fatta di Senna, Mansell, Prost, Piquet, roba tosta. Però devo dire altra cosa rispetto ad oggi. Le macchine erano difficili e veloci, i migliori emergevano ci potevamo mettere del nostro. Oggi se non hai una Mercedes stai dietro e fai lo spettatore”.
Sì però oggi si viaggia tutti attaccati e anche se Mercedes è davanti le lotte ci sono... ”Ma dove? Parliamoci chiaro, una cosa che non mi piace è vedere le vie di fuga in asfalto. In quelle condizioni ci provano tutti. Ai miei tempi c’era la ghiaia, chi sbagliava pagava e restava là. Questo oggi è inaccettabile, star lì a guidare col regolamento in mano, tagli di qui tagli di là, una volta ti penalizzano un’altra no. Guarda la parabolica a Monza, tutto asfalto e anche i ragazzini della F.4 escono larghissimi, oltre la striscia verde e nessuno dice niente. Ai miei tempi c’era la sabbia e se mettevi due ruote sopra, eri finito. Allora, pur tenendo le massime condizioni di sicurezza, meglio togliere tutto questo asfalto. Esci e ti impianti? Cavoli tuoi, la pista è quella questa la via di fuga. Ti ritiri? Cavoli tuoi. Ci perde lo spettacolo in TV? E chi se ne frega. I migliori, quelli che sanno andare forte al limite ci arriveranno, Senna saliva sul cordolo ma non metteva un centimetro di ruota oltre nella sabbia, oggi li vedi che vanno tutti oltre i limite, inconcepibile”.
Un Verstappen che va forte fa pensare, ha talento ma non mi pare abbia qualcuno che lo guidi o lo consigli, anche se oggi vedo tanti ragazzini con la figura del tutor. Lo hanno proposto anche a me di fare il tutor a uno dei pilotini della F.4. Li ho mandati a quel paese, ma quale tutor, oggi pare che senza non vai da nessuna parte
E delle nuove generazioni che ne pensi? “Un Verstappen che va forte fa pensare, ha talento ma non mi pare abbia qualcuno che lo guidi o lo consigli, anche se oggi vedo tanti ragazzini con la figura del tutor. Lo hanno proposto anche a me di fare il tutor a uno dei pilotini della F.4. Li ho mandati a quel paese, ma quale tutor, oggi pare che senza non vai da nessuna parte, una moda e una mania incredibile e secondo me inutile”. Cosa ti ha sorpreso? “Il livello tecnico delle squadre di F.4 o F.3, fanno paura, telemetria, computer, roba che non avevamo manco in F.1 per dire. A me piace curiosare, guardare capire”.
Voglia di tornare? “non se ne parla proprio, ho smesso da anni, ogni tanto faccio qualche giro in kart a Cuba, tanto per fare qualcosa. Ho una attività che mi impegna, torno a casa volentieri e il prossimo viaggio spero di portare mio figlio. Anzi, ho preso una bandiera italiana e l’inno di Mameli, perché quando guarda la TV fa il tifo per le nazioni sbagliate. Allora meglio educarlo subito, fargli capire cosa è il tricolore e il nostro inno, che deve imparare a memoria. Ora è troppo piccolo per portarlo in Italia, ma lo farò appena possibile. Ora stacco, torno a Cuba e riprendo il giro. Ci sentiamo su face book, ammesso che la connessione funzioni e non mi faccia penare: per leggere certi articoli ci metto delle ore!”. Per uno che della sua vita veloce ne ha fatto una ragione, chissà che sofferenza. Ciao Fabrizio, in bocca al lupo!