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12 mesi dopo il caso Gasly, la Red Bull si ritrova per le mani un problema analogo. Alexander Albon, convincente lo scorso anno dopo essere stato buttato nella mischia senza preavviso facendo retrocedere al suo posto in Toro Rosso proprio Pierre Gasly, fatica a restare a galla. Aveva fatto un respiro a pieni polmoni con il podio al Mugello, ma lo stato di grazia è durato ben poco. E anche in Germania Albon ha faticato parecchio. Il problema tecnico che ha causato il suo ritiro forse è stato un paradossale sospiro di sollievo per l’anglo-thailandese, che aveva già sporcato la sua gara con il contatto con Kvyat, il suo fantasma del Natale futuro.
Albon, beninteso, è un pilota dalle buone capacità, che in Red Bull ha trovato due scogli insormontabili. Il primo è la RB16, una monoposto molto capricciosa e difficile da interpretare. Non lo si capisce subito, perché Max Verstappen fa sembrare tutto facile con le sue superbe capacità di guida. E l’altro problema di Albon è proprio questo: il confronto – impietoso, evidentemente – con l’olandese, ormai prontissimo ad un’eventuale lotta per il mondiale. Si tratta di un paragone da cui molti piloti sullo schieramento uscirebbero con le ossa rotte, francamente.
Verstappen è il culmine della filosofia della Red Bull, il fiore all’occhiello di quel vivaio su cui il team di Milton Keynes ha costruito la propria strategia. Si dà il caso, però, che proprio il capolavoro di Helmut Marko sia l’ingranaggio che ha fatto saltare tutto il meccanismo. Perché l’olandese, con il suo talento strabordante, tanto quanto la sua personalità, non fa altro che distruggere i giovani virgulti della cantera della Red Bull, che, a differenza sua, pur con delle buone prospettive non riescono a fare bene come lui. E allora che si tratti di Gasly o di Albon poco cambia: consapevoli di giocarsi il posto in un confronto impari, titanico, si sono sciolti come neve al sole.
Perché non c’è tempo da perdere alla Red Bull, crudele matrigna che mastica e sputa i suoi enfant prodige, visto che nessuno è tanto dotato quanto Verstappen. Ma allora che senso ha continuare su questa strada? Ipotizzando di tornare a lottare per il mondiale, la Red Bull farebbe bene a cambiare direzione, scegliendo un solido pilota di esperienza da affiancare a Max. Ne vengono in mente un paio, entrambi sul mercato: Sergio Perez e Nico Hulkenberg. Entrambi veloci, costanti, con una carriera abbastanza lunga da non farli sentire messi in discussione al cospetto di Verstappen.
Marko continua a dire che al fianco di Verstappen serve un pilota veloce. Questo è certamente vero, ma con riserva. Ha senso incaponirsi a mettere in competizione gli acerbi ragazzi del vivaio con Verstappen, scatenando una disperata lotta per la sopravvivenza, quando il risultato, spesso ma non certo volentieri, è uno zero in classifica? Forse sarebbe più lungimirante far crescere i più dotati in Alpha Tauri o in prestito altrove, anziché continuare a bruciarli. Anche perché un giorno Verstappen potrebbe salpare verso altri lidi, e allora sì che servirebbe una punta fresca.
Nel frattempo, una coppia formata da Verstappen e uno tra Perez e Hulkenberg darebbe la stabilità necessaria a costruire una base solida. Con una punta con estro e sregolatezza e una seconda guida dalle indubbie capacità che possa contribuire fattivamente a racimolare punti per il mondiale costruttori, la Red Bull sarebbe a cavallo. Verstappen ormai è abituato a portarsi il team sulle spalle, ma comincia a mostrare dei segni di insofferenza che dovrebbero essere un campanello d’allarme per la Red Bull.
E la sorte vuole che ora ci sia l’imbarazzo della scelta per un pilota con le caratteristiche che farebbero al caso della Red Bull. Come Sergio Perez, che al benservito della Racing Point ha reagito con la grinta di chi non si considera certo al capolinea in F1. Ma oltre al talento Perez porta anche un tesoretto di sponsor che per i bibitari non sono essenziali, ma non sono da disdegnare, specie di questi tempi. A 30 anni, il messicano è tutt’altro che finito, e meriterebbe sicuramente un’altra chance.
Ma lo stesso vale pure per Nico Hulkenberg, capace di arrivare in corsa al Ring senza disputare una sessione di prove libere e trovare ben presto un feeling con una Racing Point RP20 diversa da quella che aveva guidato nel corso dell’estate. Merito della sua mano esperta, e della sua sensibilità nel cogliere le differenze di approccio e di risposta della vettura. Nico riesce non solo ad adattarsi rapidamente, ma anche a dare feedback precisi agli ingegneri. Qualità che potrebbero tornare utili alla Red Bull nella sua corsa verso il successo. E poi c’è l’indubbia costanza di risultati, che, come nel caso di Perez, sarebbe fondamentale in ottica costruttori.
Affinché queste ipotesi si concretizzino, però, la Red Bull dovrebbe avere il coraggio di tornare sui propri passi, rivedendo almeno in parte la filosofia che ha sposato in maniera totalizzante negli ultimi anni. Una corrente di pensiero che, pur avendo una coerenza di fondo, si sta rivelando sempre più fallace. Ci vorrebbe un cambio di direzione, ma sarebbe un’ammissione indiretta di aver sbagliato. E per uno come Helmut Marko sarebbe uno sforzo immane.