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Ci sono un prima e un dopo, nella storia di Maria De Villota, la ragazza che visse due volte. Tutto partì dalla scintilla che accese la passione per le corse, che, come spesso accade, si alimentò in famiglia. Il papà di Maria, Emilio, aveva corso in Formula 1, e gestiva una scuola per aspiranti piloti da cui passò anche Fernando Alonso. Immersa sin da piccola in quell’humus di competizione, Maria trovò naturale continuare il percorso del padre, cimentandosi in pista. Iniziò così a 16 anni una lunga gavetta, a cominciare dai kart per proseguire con le categorie minori e varie serie.
Poi, la grande occasione che attendeva da una vita. Maria aveva 32 anni quando riuscì a mettersi al volante di una monoposto di Formula 1. Era il 2011, si trattava di una Lotus Renault. L’anno successivo diventò collaudatrice della Marussia, piccolo team dalle grandi ambizioni. Il 3 luglio arrivò il momento di rimettersi al volante di una vettura di F1, questa volta per un test aerodinamico all’aerodromo di Duxford.
Fu questione di un attimo. Dopo cinque giri inanellati sul bagnato, la monoposto guidata da Maria subì un’accelerazione improvvisa e si schiantò contro la pedana di un camion. Un impatto devastante, che le squarciò il casco, causando gravi danni cerebrali e procurandole la perdita dell’occhio destro. Quando si risvegliò dal coma indotto, al medico che le comunicò cosa era successo rispose incredula che non poteva essere vero. Ne aveva bisogno per correre.
Non c’era volontà che tenesse, però. Maria fu costretta ad accettare il suo nuovo viso, affrontando per la prima volta la realtà dei 140 punti che le erano stati applicati per ricomporre il fortissimo trauma facciale che aveva subito. Si rese conto di non disporre più del senso dell’olfatto e di percepire solo i gusti più forti. Ma soprattutto, non aveva più il senso della profondità. Una limitazione, questa, impossibile da superare per un pilota.
Poi, Maria si rese conto che c’era vita oltre alla Formula 1. E che poteva percepire quello che la circondava con strumenti e risultati diversi. Arrivò anche una consapevolezza fondamentale. Il suo sogno lo aveva raggiunto, nella sua prima vita. La seconda esistenza, dopo lo schianto, era un dono. La vita è un regalo: così si intitolava il libro che Maria scrisse per raccontare la sua storia. Non poteva sapere che la sua seconda esistenza era destinata ad essere breve.
Sottoposta a diverse operazioni dopo il primo intervento che le aveva salvato la vita, Maria soffriva di mal di testa sempre più forti e invalidanti. Un oscuro presagio del destino che le stava per presentare un conto salatissimo. Maria fu trovata morta in una camera d’albergo a Siviglia l’11 ottobre di dieci anni fa. Avrebbe voluto continuare a raccontare la sua storia, ispirando gli altri a considerare la vita un dono prezioso senza che dovessero subire un trauma come il suo per rendersene conto. Ma l’incidente che non l’aveva uccisa sul colpo la ferì mortalmente mentre dormiva, impedendole di continuare il suo percorso.
Il paddock, riunito a Suzuka, la pianse ricordando il suo meraviglioso sorriso, che l’aveva sempre contraddistinta e non l’aveva mai abbandonata, anche nella sua seconda esistenza. Nei suoi 34 anni di vita, Maria non è riuscita a coronare il sogno di correre in F1 come pilota titolare. Ma Carlos Sainz, di cui fu istruttrice, la porta ancora con sé nei circuiti di tutto il mondo, nascosta nella stella del suo casco.