F1 Crashgate 2008. Piquet, Briatore e la beffa di Massa: ecco cosa successe davvero a Singapore

F1 Crashgate 2008. Piquet, Briatore e la beffa di Massa: ecco cosa successe davvero a Singapore
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Le recenti dichiarazioni di Bernie Ecclestone, Felipe Massa e Nelson Piquet Junior hanno riportato alla ribalta uno degli scandali più incredibili della storia della Formula 1, il Crashgate. Ecco cosa successe davvero a Singapore nel 2008
14 aprile 2023

Sono passati quasi 15 anni, ma in fondo è come se fosse successo ieri. L’onda lunga dello scandalo passato alla storia come Crashgate si riverbera nel presente, con Felipe Massa pronto a impugnare il risultato del mondiale 2008 di Formula 1 e Nelson Piquet Junior, l’esecutore del volere dei suoi mandanti, che oggi non ha paura di raccontare la sua versione di quella vicenda limacciosa, una delle più sporche di uno sport in cui i raggiri in qualche modo sono sempre stati all’ordine del giorno. Ma per capire davvero cos’è stato il Crashgate, bisogna riavvolgere il nastro al settembre del 2008, più precisamente al quattordicesimo giro del primo Gran Premio di Singapore della storia.

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Le telecamere inquadrarono la Renault R28 di Piquet distrutta dall’impatto con le barriere in curva 17. Uno schianto qualunque, su un circuito cittadino come quello di Singapore, su cui si correva per la prima volta quell’anno, sotto le luci artificiali. Ma i riflettori della pista nascondevano delle ombre che avrebbero fatto capolino solo molto più tardi. In quel momento, l’incidente di Piquet sembrava ordinaria amministrazione. L’entrata in scena della Safety Car, necessaria per consentire la rimozione della monoposto di Piquet, indusse i piloti di testa a rientrare ai box per effettuare una sosta.

Il regolamento del 2008, però, prevedeva che la pitlane fosse chiusa finché tutte le vetture non si fossero ricompattate alle spalle della Safety Car. E così, con il loro vantaggio sulla concorrenza azzerato, i piloti di testa furono costretti a ripartire dalle retrovie, alle spalle di avversari più lenti di cui non riuscirono a liberarsi in fretta. A qualcuno andò pure peggio di così. Nico Rosberg, costretto a rientrare quando la pitlane era chiusa, fu penalizzato di 10 secondi, così come Robert Kubica. Felipe Massa, in testa prima dell’incidente, ripartì dalla piazzola dei box con il bocchettone della benzina attaccato e concluse la gara tredicesimo, fuori dai punti.

Tanti scontenti, e un solo pilota in grado di approfittare di questo caos: Fernando Alonso. Essendosi fermato due giri prima dello schianto del suo compagno di squadra, era riuscito a portarsi nelle posizioni nobili della classifica. Dopo la penalità di Rosberg e i pit stop di Fisichella e Trulli, il gioco era fatto. Alonso tagliò il traguardo per primo, cogliendo la prima vittoria nella stagione in cui era tornato da proverbiale figliol prodigo in quella Renault con cui aveva colto i suoi due titoli mondiali. Nel post-gara, Fernando parlò di un pizzico di fortuna, come spesso capita in F1. Ma quello che era accaduto a Singapore non c’entrava nulla con la sorte. A ben vedere, qualche segnale c’era già. Piquet, nel giro di formazione, si era girato nello stesso punto in cui poi sarebbe finito a muro. Una zona, quella, in cui peraltro non c’era la gru per sollevare una monoposto incidentata, rendendo così necessaria la Safety Car. Alonso, poi, aveva imbarcato poca benzina. Una strategia illogica per un pilota che doveva recuperare terreno.

A pensar male si fa peccato, si dice. E così, anche se qualcuno timidamente aveva ipotizzato un intrigo, queste supposizioni furono ben presto abbandonate. Come andò a finire quel mondiale è storia dolorosa per i tifosi della Ferrari. Felipe Massa fu campione del mondo per trenta secondi a Interlagos, prima che Lewis Hamilton, passando Timo Glock in apnea con le slick sotto una pioggia torrenziale, gli strappasse il mondiale per un solo punto. Singapore sembrava destinata a restare solo un rimpianto per Massa, come il motore esploso all’Hungaroring e i testacoda di Silverstone. Questo, fino al licenziamento di Piquet da parte della Renault.

Dopo mesi deludenti, il 3 agosto del 2009 le strade di Piquet e della Renault si divisero. Nessuno lo sapeva, ma a quel punto Nelsinho aveva già vuotato il sacco: si era schiantato volontariamente, su ordine della Renault. A inizio settembre la FIA accusò la Renault di aver condizionato il risultato della gara, provocando uno schianto per favorire Alonso. Piquet fu ascoltato due volte dalla FIA, la prima il 30 luglio, la seconda il 10 settembre. Rivelò che Pat Symonds e Flavio Briatore lo avevano costretto a impattare contro le barriere. Quanto al coinvolgimento di Alonso, Piquet osservò che al posto suo avrebbe avuto da ridire sulla bizzarra strategia legata al partire con poco carburante a bordo.

Alonso negò di essere a conoscenza del piano di Symonds e Briatore, e fu scagionato. La Renault annunciò l’intenzione di intentare una causa contro Piquet e suo padre, Nelson Piquet Senior, per quelle che definivano dichiarazioni false. Piquet, dal canto suo, fece sapere che, nonostante fosse consapevole dell’influenza e del potere di Briatore e Symonds, non si sarebbe più fatto costringere a prendere una decisione di cui si sarebbe pentito. Il brasiliano non fu punito dalla Federazione. Ad avere la peggio, alla fine, sarebbero stati proprio i due manager.

Il 16 settembre, la Renault, con un forte cambio di tono rispetto alle dichiarazioni precedenti, annunciò che Symonds e Briatore avevano lasciato il team con effetto immediato, e che non avrebbe contestato la decisione della Federazione. La FIA qualche giorno più tardi comminò una squalifica di due anni con condizionale a Renault, che sarebbe così stata radiata nel caso in cui si fosse verificato un episodio analogo prima del 2011. Symonds fu squalificato per cinque anni, mentre Briatore fu radiato a vita. Il primo aveva confessato, il secondo aveva negato fino alla fine, nonostante le prove del suo coinvolgimento. Cruciale fu il contributo di un non meglio identificato “Testimone X”, dipendente Renault presente nel momento in cui fu deciso il piano, a cui aveva cercato di ribellarsi, invano.

Il resto è storia nota. Piquet non corse mai più in Formula 1, ma si laureò campione del mondo nella stagione inaugurale di Formula E. Briatore fu graziato di lì a pochi anni, e, un decennio più tardi, fece il suo ritorno ufficiale in F1 come "ambassador" della categoria. E poi, il gran finale, o forse il nuovo inizio, di questa storia: l’ammissione di Bernie Ecclestone al Mirror. Lui e Max Mosley, all’epoca presidente della FIA, sapevano.

Ne erano venuti a conoscenza ben prima che Piquet confessasse pubblicamente, e avevano taciuto per proteggere la F1 da uno scandalo che sarebbe scoppiato comunque. La miccia, dopotutto, c’era già, era sufficiente che fosse accesa. Il licenziamento di Piquet scatenò una reazione a catena che non avrebbe però potuto cambiare le sorti del mondiale 2008. Da regolamento, una volta consegnato il trofeo al vincitore del mondiale, non si può più tornare indietro. Carpito dalle mani di Lewis Hamilton a Monaco in una sera di dicembre di quattordici anni fa, quel titolo non potrà passare a Felipe Massa, nemmeno dopo le dichiarazioni di Ecclestone.

La cancellazione dei risultati della corsa, auspicata da Massa, non deporrebbe in realtà a suo favore, perché Hamilton vincerebbe con un vantaggio maggiore rispetto al punticino che fece la differenza a suo tempo. Se invece la Renault fosse squalificata dall’intero mondiale, vincerebbe Massa. Ma la verità è che il risultato sportivo non cambierà. Resta una delle pagine più scandalose e bieche della storia della F1. Talmente surreale da sembrare il frutto della penna di un diabolico scrittore. Ma la mente dei mandanti di quello schianto di quasi quindici anni fa fu ancora più luciferina, oltre qualsiasi immaginazione. Tanto da dare vita a una vicenda che, nel 2008 come oggi, tormenta chi l’ha vissuta in prima persona.

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