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Sergio Perez nel Gran Premio del Giappone 2023 di Formula 1 è diventato il pilota che si ritira due volte. La prima, in seguito ai danni rimediati nella scellerata collisione con Kevin Magnussen. E la seconda, dopo aver scontato la conseguente penalità di cinque secondi che si sarebbe altrimenti trasformata in una sanzione sulla griglia del GP del Qatar decisamente più pesante nell’economia di una gara.
In molti si sono chiesti se fosse possibile rientrare dopo un ritiro, e, come vi abbiamo spiegato ieri, lo è. Il regolamento non prescrive nulla in questo senso, a meno che il pilota non sia rientrato ai box con l’aiuto dei commissari. Se ci è arrivato da solo, nulla vieta che possa riguadagnare la via della pista dopo le riparazioni del caso, almeno per ora. Diciamo così perché, secondo quanto riporta il noto giornalista britannico Ted Kravitz, la FIA ha intenzione di rivedere le normative.
A questo punto, apriti cielo: sui social è partita l’indignazione generale. Quando c’è di mezzo la Red Bull, si notava, finisce sempre in questo modo. A dire la verità, però, scovare zone grigie del regolamento o addirittura “buchi” è sempre stato parte del gioco. Lo si nota soprattutto per quanto riguarda le normative tecniche – si veda il DAS o il recente caso della flessibilità delle ali – ma ci sono anche dei precedenti sul regolamento sportivo. E il più eclatante riguarda la Ferrari.
In una piovosa giornata del luglio del 1998 in quel di Silverstone, Michael Schumacher doveva scontare uno stop-and-go per un doppiaggio in regime di bandiera gialla su Alexander Wurz. La comunicazione era arrivata poco dopo il sorpasso su Mika Hakkinen che gli era valso la testa della corsa, quando mancavano pochi minuti al termine. Se fosse rientrato ai box, avrebbe perso la posizione, e di conseguenza la vittoria.
Quel vecchio volpone di Ross Brawn, però, ebbe l’idea che consegnò la vittoria a Schumacher: fargli scontare la penalità all’ultimo giro. Il Kaiser rientrò ai box, espiò la sua colpa e tagliò il traguardo in pitlane, vincendo la corsa. La McLaren presentò ricorso, ma la FIA lo rigettò, obiettando che Schumacher non avrebbe avuto il tempo materiale di poter scontare la penalità senza ricorrere a questo trucchetto. Sarebbe rimasto un caso isolato, perché le regole, guarda caso, furono riscritte.
Quello che era un colpo di genio venticinque anni fa non può diventare una scorrettezza oggi. Sempre di penalità da scontare si tratta, pur se in circostanze completamente differenti. Si vince e si perde anche così, in F1. E non è una novità di oggi. Se volessimo eccepire qualcosa riguardo al trattamento della Red Bull lo faremmo invece in merito alle sanzioni che le vengono comminate da un po’ di tempo a questa parte.
Le due reprimende e la pacca sulla spalla rimediate da Max Verstappen a Singapore – poi cancellate dal grande libro dei precedenti della FIA, guarda caso - ne sono la concreta rappresentazione. Ma lo è pure la stessa penalità per cui Perez è finito per rientrare in pista da ritirato. Cinque secondi per aver speronato con la miglior macchina del lotto un pilota di un team minore sono un buffetto sulla guancia. I due punti di penalità sulla patente compensano, ma non nell'economia della gara.
Un pilota dell’esperienza di Perez deve avere la lucidità di capire che buttarsi d’istinto per sopravanzare un concorrente con un mezzo inferiore è un approccio insensato. Gli sarebbe bastato aspettare. E nel caso in cui non riesca a rendersene conto, deve essere sanzionato di conseguenza. Ormai i cinque secondi sono stati sdoganati come penalità jolly per una varietà sconcertante di comportamenti in pista. E anche questo, oltre ai buchi del regolamento, andrebbe rivisto.