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Il 6 giugno del 2015, appena concluso l’e-Prix di Mosca di Formula E, Jaime Alguersuari ebbe un malore. Di lì a poco la FIA gli revocò la licenza, in attesa che venisse chiarita la ragione di quegli svenimenti. Quattro mesi più tardi, Jaime, a soli 25 anni, annunciò l’addio al motorsport. “In questo momento non vado pazzo per le corse, e quindi ho deciso di smettere”, spiegò in una conferenza stampa all’epoca.
Anni dopo, Jaime avrebbe trovato il coraggio di spiegare da dove venisse questo disincanto. In un’intervista esclusiva concessa a Roberto Chinchero per Motorsport.com, Jaime rivelò di non essere riuscito per anni a togliersi dalla testa la F1. “Continuava ad essere una ferita aperta”, spiegò. “Quando a Mosca sono svenuto ho capito che qualcosa non stava funzionando, era un chiaro campanello d’allarme, non ero più me stesso, non ero motivato, non avevo il sorriso”. Un dolore che non passava nonostante fossero trascorsi anni dall’addio alla F1, consumato in fretta e furia al termine della stagione 2011.
Jaime aveva debuttato nel Circus da giovanissimo. Anzi, all’epoca, con i suoi 19 anni e 125 giorni, era il più giovane di sempre. Un record che sarebbe stato battuto tempo dopo da Max Verstappen, altro pupillo di quello che è ancora oggi il padre padrone dei talenti della galassia della Red Bull, Helmut Marko. Arrivato nel 2009 in sostituzione di Sébastien Bourdais, ebbe a disposizione due stagioni e uno scampolo per convincere Marko e il resto della ciurma di avere le potenzialià per farcela.
Non ci riuscì. A fine 2011 perse il posto in Toro Rosso. Lui e il compagno di squadra, Sébastien Buemi, dovettero fare spazio alle nuove leve, Daniel Ricciardo e Jean-Eric Vergne. Prima del divorzio, in Corea, Marko, non curante delle telecamere nei box, aveva redarguito Alguersuari, reo di aver ostacolato il suo pupillo dell’epoca, Sebastian Vettel, durante le prove libere. Era solo un antipasto del ben servito che sarebbe arrivato prima della fine dell’anno.
Alguersuari all’epoca del divorzio dalla Toro Rosso aveva 21 anni. Uno in meno di Yuki Tsunoda, attuale bersaglio dei crudeli metodi educativi di Marko. Dotato di un temperamento bellicoso e di una certa propensione alla foga, Tsunoda, al secondo anno in F1, sta commettendo parecchi errori. Tanti, per un pilota che non è più un rookie. Troppi, per i gusti di Marko. Che, alla vigilia del GP d’Austria, ha definito Tsunoda un “ragazzino problematico”, per poi rifilargli una stoccata di cattivo gusto, rivelando che Yuki si sta avvalendo dell’aiuto di uno psicologo come se fosse un’onta, qualcosa di cui vergognarsi.
Le parole di Marko sono sbagliatissime, da diversi punti di vista. Tanto per cominciare, lavorare su sé stessi in terapia non è una vergogna, ma il regalo più grande che ci si possa fare. Dichiarazioni come quella del talent scout di casa Red Bull non fanno altro che contribuire allo stigma che ancora oggi circonda la salute mentale. La terapia salva alcune vite, e ne migliora significativamente delle altre. Sostenere che recarsi dallo psicologo sia una cosa da “ragazzini problematici” non gioverà certo a chi sta cercando la forza di chiedere aiuto.
A dirla tutta, non ci è piaciuto nemmeno il tono goliardico con cui le dichiarazioni di Marko sono state commentate in TV. Prodursi in una facile ironia sull’andare dallo psicologo non contribuisce assolutamente a ridurre la vergogna che si leggeva nell’espressione di Tsunoda quando è stata sollevata la questione in conferenza stampa. E qui arriviamo al secondo motivo per cui le parole di Marko sono inopportune. Trattandosi di un argomento privato e ancora delicato, Yuki avrebbe avuto tutto il diritto di scegliere il modo e il momento in cui rivelare il suo percorso, senza che lo facesse uno dei suoi responsabili. È stato così per Alguersuari, tornato sull’argomento ad anni di distanza dallo strappo dal mondo del motorsport. Yuki non ha avuto questo privilegio.
Vedere Tsunoda in difficoltà, consolato dalle belle parole di Esteban Ocon, animo gentile, ci ha lasciato un notevole amaro in bocca. Così come non possono lasciarlo le ennesime tesi controverse di un uomo che adora attirare l’attenzione su di sé. Il signor Marko dovrebbe capire che andare dallo psicologo non è un’onta. Non c’è nulla da vergognarsi a chiedere aiuto. Sarebbe opportuno farlo, invece, dopo certe dichiarazioni a cuor leggero.