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L’annuncio dell’ingaggio di Carlos Sainz da parte della Ferrari, arrivato di questi tempi un anno fa, aveva suscitato perplessità in molti. Non si comprendeva il motivo per cui la Rossa lo avesse preferito a Daniel Ricciardo, talento con cui la scuderia di Maranello aveva flirtato nemmeno troppo velatamente negli anni precedenti, per poi abbandonarlo come il più sconsolato dei sedotti. In realtà la Ferrari, scegliendo Sainz, ci ha decisamente visto lungo. E la dimostrazione di questo assunto è arrivata a Montecarlo.
In una gara in cui Charles Leclerc, per mancanze proprie e della Ferrari stessa, non ha nemmeno visto il via, Carlos si è preso sulle spalle la Rossa, ottenendo il miglior risultato possibile senza commettere errori. Avrebbe potuto tentare l’assalto per la vittoria? A Montecarlo sarebbe stato un compito difficile, se non impossibile. E Sainz ha scelto di portare a casa il maggior numero di punti senza andare oltre la ragione, oltre i limiti. In questo, i due “Carli” della Ferrari sono molto diversi.
Charles, che, in termini di talento grezzo, brilla più di Carlos, vive intensamente la sua condizione di pilota. Si strugge, cerca di andare oltre i confini del possibile. E a volte sbaglia. Ma è proprio questo a renderlo così amato. Perché Charles, in fondo, è uno di noi. Emotivo, orgoglioso, cocciuto. È questa la ragione per cui gli vengono perdonati gli errori. Leclerc rappresenta una trasposizione moderna del concetto del pilota come impavido cavaliere del rischio, contro natura e, a volte, anche contro la ragione. Impossibile non essere affascinati dalla sua personalità.
Ma per ogni Charles, deve esserci un Carlos. Un pilota solido, equilibrato. Veloce, ma capace di muoversi con i piedi di piombo. Carlos non sarà spettacolare e coinvolgente come Charles, però è concreto. Sbaglia poco, lavora in silenzio e, come ha spiegato lui stesso, mette insieme i pezzi del puzzle. È questa sua natura calma, ma risoluta, che gli ha permesso di adattarsi con maggiore facilità ad un contesto nuovo rispetto agli altri piloti che hanno cambiato team. Sicuramente i test privati con monoposto vecchie hanno aiutato, ma Carlos ci ha messo del suo.
La Ferrari aveva esattamente bisogno di un pilota che, a prescindere dal contesto, fosse in grado di portare punti preziosi per il mondiale costruttori. Ma se pensate che Carlos sia un onesto mestierante, vi sbagliate di grosso. Carlos ha talento, anche se è meno chiassoso rispetto a quello di altri suoi colleghi. E, soprattutto, è un ragazzo che lavora a testa bassa. Sa di essere in un ambiente molto sfidante, anche per le pressioni esterne. Ma ha scelto, con intelligenza, di usare le proprie risorse come un’ancora per non perdersi in acque limacciose.
Quando Sainz è arrivato alla Ferrari, forte di un accordo biennale, in molti lo vedevano come una sorta di riempitivo, in attesa che i tempi fossero maturi per l’inevitabile – a meno di débâcle maiuscole – approdo alla Rossa di Mick Schumacher, figlio di cotanto padre. Ma Carlos, a sua volta erede d’arte, anche se di una dinastia che affonda le sue radici in un’altra propaggine della galassia del motorsport, in Ferrari ci è arrivato per restarci. E la Rossa farebbe bene a tenerselo stretto.