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Vedendo sfrecciare per il paddock sul suo fedele monopattino Lewis Hamilton, sfuggente quanto magnetico, non si può fare a meno di notare quanto il sette volte campione del mondo, 38 anni il 7 gennaio, sia polarizzante. O si ama o si odia: non ci sono vie di mezzo, quando si parla dell’uomo che ha costruito meticolosamente un’immagine patinata da cui, in alcuni momenti, traspare la sua vera essenza, solitamente ben celata dietro una coltre di sofisticazione parecchio lontana dalla semplicità del ragazzo venuto dal nulla che si era presentato sullo schieramento del suo primo GP in F1 quasi 16 anni fa.
Si ama o si odia, Hamilton, perché sfugge ad ogni limite. A cominciare dalla visione convenzionale del pilota. Vestito di capi caleidoscopici, con dettagli estrosi e proporzioni audaci, l’Hamilton che circola per il paddock è ben lontano dallo stereotipo del pilota nudo e crudo d’altri tempi, tutto sostanza e niente fronzoli. Il suo linguaggio stilistico, tanto chiacchierato sia da chi lo apprezza che da chi lo denigra, non è solo una forma di espressione, ma anche un modo per liberarsi dalle imposizioni di un ambiente che non appartiene a chi è come lui.
In una F1 dove a farla da padroni sono i maschi bianchi, un personaggio come Hamilton non poteva che essere un’eccezione. Con il passare del tempo, ha trovato il coraggio di farsi portavoce di un’apertura che farà storcere il naso a chi non si è mai sentito discriminato, ma che potrebbe davvero rendere la F1 un mondo più inclusivo, e non solo di facciata. Il Lewis quasi quarantenne non è il ventenne perso nella sua stessa fama di qualche anno fa, ma un uomo consapevole della portata della sua voce.
Ma Hamilton sta anche superando i limiti che si era imposto nel suo lavoro in pista. Dopo i mesi di silenzio seguiti alla batosta terribile di Abu Dhabi 2021, aveva sentenziato: “se pensate che quanto ho fatto vedere sinora sia il mio meglio, aspettate di vedere cosa farò quest’anno”. Una dichiarazione d’intenti che, classifica della stagione 2022 alla mano, sembra essere stata completamente disattesa. Al primo anno in Mercedes, George Russell ha fatto meglio di lui, superandolo in classifica piloti. E i detrattori di Hamilton lo hanno prontamente bollato come un bollito.
A ben vedere, però, abbiamo davvero scorto un Hamilton inedito, e non necessariamente in chiave negativa. Si è messo al servizio del suo team, cercando da un lato di estrarre il meglio dalla vettura in un modo forse troppo sofisticato, tirando fuori dal cilindro dei set-up al limite che non hanno fatto altro che imbizzarrire la capricciosa W13, anziché ottenere l’effetto sperato. Dall’altro, ha fatto diventare la sua monoposto un laboratorio mobile nella prima parte dell’anno, sacrificando le prestazioni sull’altare della comprensione di una monoposto che non ha mai espresso i valori teorici che avevano fatto clamore sulla stampa ancora prima che la W13 debuttasse in pista.
Notoriamente allergico al simulatore, Hamilton si è piegato alle necessità della sua scuderia mettendosi a sua disposizione anche per quei compiti virtuali che i piloti più esperti della griglia tendono a digerire malvolentieri. Tutto perché per Lewis, come per ogni campione che si rispetti, l’appetito vien vincendo. Non gli basta aver dominato un’era della F1. Hamilton vuole imporsi ancora, agganciando quell’ottavo titolo che gli è stato strappato all’ultimo secondo con una modalità che definire limacciosa è un eufemismo.
Se a Yas Marina nel 2021 le cose fossero andate diversamente, Lewis avrebbe potuto dire basta, con la consapevolezza di diventare statisticamente il più vincente di tutti i tempi. Quell’ingiustizia subita lo ha piegato, ma non lo ha spezzato. E lo sta portando vicino al superamento di un altro limite autoimposto, quello dell’età. Uno come Hamilton – e vale anche per Alonso - per continuare non ha bisogno della certezza di vincere, ma solo della possibilità di farlo. E finché avrà quella fame di rivalsa che nutre sin da piccolo e che gli vibra in ogni muscolo del corpo, non smetterà di lottare.
Così come, ci viene spontaneo pensare, non smetterà di dire la sua, nonostante il bavaglio all’espressione personale imposto di recente dalla Federazione. L’uomo che alla vigilia del GP d’Australia 2020, a domanda sul perché la F1 stesse continuando nonostante lo scoppio della pandemia, rispose “è per il dio denaro” non starà certamente zitto anche se non potrà più indossare caschi arcobaleno o magliette per denunciare iniquità sociali. Anche per questo, Lewis si ama o si odia. Ma sicuramente non può restare indifferente.