F1. Benvenuti a Silverstone, quando era ancora la vera patria dell'automobilismo, con grigliate e feste nel paddock

F1. Benvenuti a Silverstone, quando era ancora la vera patria dell'automobilismo, con grigliate e feste nel paddock
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Quando Silverstone era ancora la vera patria dell'automobilismo, con grigliate, feste, concerti improvvisati nel paddock e disavventure per i giornalisti italiani
5 luglio 2024

Là dove tutto nacque, là dove la storia della F.1 ha segnato pagine uniche di storia, là dove i disagi, le code e gli aneddoti si sprecano, i ricordi volano alti al contorno di una gara che resta comunque unica. Unica per arrivare a Silverstone, perché da Londra occorre tanta pazienza e dall’aeroporto di Heatrow prendere la orbital (M25) e poi inserirsi nella M40 verso nord, destinazione Oxfordshire. Dopo un centinaio di km in autostrada, si esce dalle parti di Brackley, proprio lì dove ha sede la Mercedes. Attorno è tutto un fiorire di piccoli villaggi e cittadine collegate da stradine abbastanza strette che, con la guida a destra, fanno venire i capelli bianchi quando incroci chi viene dall’altro lato e l’istinto di ti dice di sterzare a destra, solo che qui devi mantenere la sinistra. E così, dopo anni di gomme bucate contro i marciapiedi, specchietti divelti nell’attraversamento dei villaggi con le auto parcheggiate a lato e invasione di corsia obbligatoria per evitarle, l’occhio a distanza di anni si abitua e viaggiare da quelle parti diventa anche divertente. Salvo raggiungere il circuito nei giorni di gara.

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Fino al 2000 c’era una stradina, regolarmente intasata dall’uscita autostrada fino a Silverstone, villaggio di 1500 abitanti in cui svetta un cartello all’ingresso: drive slowling, guida piano. Nella patria della velocità britannica è stridente, ma qui la polizia non scherza affatto. Poi, dopo il disastro di quella edizione (a causa della pioggia i parcheggi e le stradine erano un pantano impraticabile, con colonne di decine di km in attesa di muoversi) si decise di raddoppiare la A43, facendola diventare una doppia corsia per smaltire meglio il traffico e nel contempo unire la A5 che porta a Milton Keynes con quella che porta a Northampton. Chi prendeva alloggio a Banbury trovava un posticino ameno, caratterizzato da un paio di pub, una piazzetta e ristorante italiano (si mangiava da schifo ma meglio dei loro locali inglesi…) il massimo del godimento fu quando grazie a Keith Sutton, fotografo titolare di una agenzia e mentore di Senna, Button e altri piloti, ci alloggiò nelle stanze sopra l’unico pub di Towcester, località che in passato era sede di un castro pretorium romano di cui ancora oggi ci sono tracce nel race track, l’ippodromo che sorge uscendo dal villaggio. Qui aveva dormito Senna quando correva in F.3 ospite di Keith e qui, nelle tre stanze sopra il locale, per qualche anno abbiamo dormito anche noi. Il problema? Il sabato sera era una cagnara indescrivibile, la puzza di fumo e cipolla arrostita impregnava gli abiti, e con gli astanti ubriachi persi di birra, trovavi la fila dietro al cortiletto dove avevamo parcheggiato l’auto, con decine di persone intente a fare la pipì contro il muro e contro la nostra vettura! Poco da lamentarsi, perché poi le comodità erano due. Il ristorante cinese dove andava sempre Barrichello, su consiglio di Senna, e l’altro The Saracens Head, tipica cucina inglese, tanto che pure i locali preferivano il cinese piuttosto che il loro porridge…

Altro vantaggio, appena usciti dal paese, direzione opposta a Silverstone, si girava su una stradina di campagna che fra incroci vari portava all’ingresso secondario del circuito. Il problema era non perdersi perché le indicazioni stradali erano una scommessa. Ovvero, arrivavi a un incrocio di campagna, dovevi girare a destra o a sinistra, ma non c’era un cartello tradizionale. Bensì un palo bianco con due frecce e sulle frecce, piccole, c’era il nome del villaggio e la distanza in miglia. Il resto dei locali? Tutti in fila appassionatamente, perché per loro la fila era divertimento e socializzazione… Smesso di andare a Towcester, si è passati a Milton Keynes, vicino all’hub centrale, con tanti ristoranti e locali. Sembra una città del futuro, con le strade doppia corsia sollevate dal resto del terreno, circondate da siepi alte che nascondono alla vista le abitazioni e le factory, fra cui quella della Red Bull. C’è anche un kartodromo dove di solito ci si sfidava fra giornalisti italiani e inglesi. Poi sono spariti i giornalisti italiani e la voglia di rompersi qualche costola. Il problema del dove dormire era sempre molto grosso e così ci si affidava ai bed and breakfast dove dormire in stanze vecchia di epoca vittoriana.

Una sera, presi dalla disperazione, accettiamo l’invito dei fotografi italiani, con uno di Modena che ci fa, con marcato accento: “Dio bò, va che da noi silenzio, calma e localino con pochi posti dove si mangia bene e nessuno che rompe le scatole”. Vabbè, accettiamo. Il tempo di lasciare il circuito, dirigersi verso Hulcote, poi Caldecote, Tieffield località verso Northamtpon, arriviamo all’indirizzo indicato. Non c’erano i navigatori, si andava di cartine stradali nemmeno troppo precise. Però ci eravamo arrivati. Scendiamo dalla vettura, ci guardano dei passanti e sorridono. Entriamo da una porta vecchia e scricchiolante, saliamo per le scale dove la moquette era del periodo Vittoriano, ovvero oltre un secolo e mezzo, mai spazzolata o pulita. Le scale scricchiolano, la porta cigolante si chiude di colpo, la luce manca o va a sprazzi da un vecchia lampadina giallognola. Il fotografo di dice “Mo vieni di qua sta all’occhio al gradino che è rotto” manco il tempo di finire la frase che “sbram” botta contro lo spigolo e gradino, ovviamente, preso in pieno. “Vado in bagno un attimo, poi andiamo a cena”. Ok, ci indica il bagno. E’ uno sgabuzzino di un metro per lato, forse meno, con il water al centro e la carta appesa alla maniglia della porta. La moquette porta ancora i segni di quando, un centinaio di anni prima, qualcuno degli ospiti deve avere avuto dei problemi intestinali… Chiediamo come si faccia a vivere così, ma a quel prezzo (120 sterline a notte) e la distanza dal circuito, era il meglio che potessero trovare i tre fotografi italiani. Il nostro ospite apre la finestra e ci fa: “Dio bò, va che parco, va che silenzio, una meraviglia, non vola una mosca”.

Guardiamo meglio, lo guardiamo in faccia e gli chiediamo: “Ma hai capito dove siete finiti?” ovviamente risponde di no. Gli dico guarda bene, vedi quelle pietre laggiù? Vedi quel muretto di cinta e quella croce in fondo? “Beh, è il parco con la cappelletta per le preghiere”. Infatti, era il cimitero del paese e quella era la casa del custode che nei giorni del GP cedeva agli ospiti. Quando il nostro fotografo vide meglio il tutto, mentre nel frattempo gli altri fotografi, salendo le scale, emettevano un cigolio sinistro, con la luce che andò via, il nostro fotografo voleva scappare: “ma noi andiamo via presto al mattino e rientriamo la sera, mica avevamo visto le tombe con le pietre, da noi ci sono le croci, qui invece è tutto all’aperto”. Intanto si toccava a fare gli scongiuri. Usciamo, andiamo a cena, nemmeno a dirlo, la locanda era quella del cimitero che ospitava i parenti dei defunti dopo le cerimonie. Inutile dire che lì non ci ha più messo piede nessuno e si è preferito andare in posti più lontani piuttosto che fare i conti con certi ambienti. Però il peggio toccò a un inviato di una grossa agenzia italiana.

Dopo la cena offerta da Toyota in pista (a quel tempo si mangiava spesso in circuito ospiti dei team), uscendo dal circuito, con un bicchiere di grappa di troppo in corpo, abituato a guidare all’italiana, imboccò contromano la rotatoria dove c’era la pattuglia della polizia. Fermo, controllo etilometro, auto mollata sul posto e lui accompagnato in carcere. Passò la notte in guardina insieme ad altri delinquenti, su un tavolaccio di legno. Al mattino il giudice lo condannò a una settimana di carcere tramutata in una multa da 400 sterline. Fu riaccompagnato in circuito da un taxi, prese la vettura a noleggio e tutti noi raccogliemmo i soldi per rimborsarlo. La Toyota, a Monza, gli regalò una tuta dei piloti di F.1 di quel tempo con un trofeo. Il nostro collega se ci pensa è ancora sotto choc, a distanza di 20 anni… E che dire dei primi anni 90? Box dietro la curva Copse, prato ovunque, camion tenda in mezzo all’erba e un bagno solo per un migliaio di persone. Ma la domenica sera, dopo la gara, grande festa e barbecue per tutti i dipendenti dei team F.1 inglesi, cui partecipavano anche le squadre italiane. Poi da un palco improvvisato, Damon Hill con i suoi Conrods, cominciava a suonare, con Herbert che cantava “Jonny be good” a squarciagola e Eddie Jordan sul palco. Uno spettacolo musicale gratis. Poi qualcuno lo ha vietato e la F.1 di quel tempo è solo un pallido ricordo. Benvenuti a Silverstone, patria dell’automobilismo moderno…

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